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Una macchina tipografica a caratteri mobili degli anni '70 in mostra presso la Società Dante Alighieri

Sindaca, assessora, chirurga, ingegnera: la lingua italiana cambia verso

Una macchina tipografica a caratteri mobili degli anni '70 in mostra presso la Società Dante Alighieri
Una macchina tipografica a caratteri mobili degli anni ’70 in mostra presso la Società Dante Alighieri

FIRENZE – «All’inizio non ci facevo troppo caso. Per me era indifferente essere chiamata vice-sindaca o vice-sindaco. Poi mi sono resa conto che era più giusto usare il femminile. L’italiano non è una lingua neutra e il ruolo della donna deve avere la sua giusta collocazione». Parole di Cristina Giachi, numero due del sindaco di Firenze Dario Nardella a Palazzo Vecchio, nel corso del convegno «Dolce Stil Novo 3.0», sulle più recenti trasformazioni della lingua italiana, aperto dai rappresentanti dei due enti organizzatori: Giorgio Burdese per il Comitato fiorentino dell’Aics e Antonia Ida Fontana, presidente del comitato di Firenze della Società Dante Alighieri.

Qualcuno, prima dell’inizio dei lavori, le aveva fatto notare che in diplomazia viene sempre mantenuto il termine «ambasciatore» sia per l’uomo che per la donna. «È vero – ribatte Giachi – ma quello è un fatto culturale non lessicale. E poi ambasciatrice è sempre stata chiamata la moglie dell’ambasciatore. Probabilmente si va avanti così anche per non creare errori». L’interlocutore vorrebbe anche replicare che nello stesso sito web del Comune di Firenze, accanto al nome Cristina Giachi c’è ancora l’indicazione «vice sindaco e assessore». Stessa cosa per le altre quattro donne della giunta Nardella, ciascuna delle quali è identificata come «assessore» Ma i tempi stringono e l’attesa conferenza deve cominciare.

Alla Giachi fa eco la dottoressa Elisabetta Benucci dell’Accademia della Crusca. «È una questione di italiano – precisa – nessuno dice che Federica Pellegrini è un nuotatore, bensì una nuotatrice. E perché allora non si parla di chirurga o di ingegnera? Usare il maschile è una forma sessista della lingua e svilisce la figura femminile». Ma più in generale, come sta la lingua italiana? «È in buona salute – dice Benucci – anche se qualche preoccupazione nasce da parole o espressioni usati nella vita di tutti i giorni» a vantaggio delle terminologie anglosassoni tanto di moda, anche quando non strettamente necessario: così un negozio diventa uno «store» e l’accessorio si trasforma obbligatoriamente in un «optional». Non mancano casi opposti, quando il termine chiavetta Usb resiste ancora al posto di «pen drive» e il buono pasto è sempre preferito a «ticket».

Da sinistra Sandro Bennucci, Cristina Giachi, Elisabetta Benucci, Massimo Rosati, Giovanni Caselli
Da sinistra Sandro Bennucci, Cristina Giachi, Elisabetta Benucci, Massimo Rosati, Giovanni Caselli

Tra gli interventi che seguono, l’antropologo Giovanni Caselli lamenta come – al giorno d’oggi – «una lingua ricca come il fiorentino venga sacrificata al linguaggio televisivo (e distruttivo) stile Mike Bongiorno». Una perdita di identità insomma che ogni giorno, secondo Caselli, aumenta sempre più. Anche il professor Massimo Rosati, docente di economia all’Università di Firenze, non può che ammettere che nel marketing commerciale – tutto proteso a favorire le buone relazioni tra impresa e mercato – il linguaggio della comunicazione globale è determinante per raggiungere lo scopo. E lì il Dolce Stil Novo deve necessariamente cedere il passo a vocaboli e termini d’importazione. Più che una scelta è una necessità.

Chiude i lavori, moderati da Chiara Novelli responsabile Arti letterarie di Aics, il direttore di Firenze Post Sandro Bennucci. Un giornalista che viene da lontano, con oltre 40 anni alle spalle trascorsi a «La Nazione». Dal piombo delle tipografie, all’offset, alla scrittura direttamente in pagina tramite computer, fino al suo (recente) approdo nell’informazione on-line. Un mondo quest’ultimo – ha precisato Bennucci – con le sue regole e le sue esigenze, più sottoposto agli algoritmi dei motori di ricerca di Internet che lasciato totalmente alla creatività giornalistica di un tempo. Tanti i ricordi, due per tutti: la scelta nella redazione sportiva di usare la parola italianizzata «gol» al posto dell’inglese «goal», come pure il conio – d’intesa con il climatologo professor Giampiero Maracchi negli anni ’90 – della nuova italianissima espressione «bomba d’acqua» oggi universalmente entrata nel linguaggio comune dei media. Cambia dunque la veste editoriale e il modo di approccio con il lettore – conclude il direttore Bennucci – ma la lingua italiana può e deve mantenere le sue caratteristiche: chiara, pulita, essenziale. Il web ci ha conquistato, ma non può toglierci le nostre origini e la nostra identità.


Sandro Addario

Giornalista

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