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Lavoro: dietro lo scontro governo-sindacati, ecco la verità sul jobs act

Renzi Camusso
Matteo Renzi e Susanna Camusso

Chiudendo i lavori della Leopolda Matteo Renzi ha detto che «Il posto fisso non c’è più». Secondo il Premier – rivoltosi ai sindacati per dissuaderli da inutili scioperi e cortei – l’articolo 18 fa parte di un mondo che non c’è più. Chi si aggrappa all’articolo 18 è come chi vuole mettere ‘un gettone dentro l’iPhone’ o ‘un rullino dentro una macchina fotografica digitale’.
Il contrasto con i sindacati, in particolare con la Cgil, oltre che sull’impostazione della legge di stabilità, verte sulle disposizioni del Jobs Act, corretto dalla Camera dei deputati. Molti ne parlano, ma pochi lo conoscono e quindi vediamone i punti essenziali, vediamo come il Jobs act votato alla Camera potrebbe cambiare il mondo del lavoro.

ARTICOLO 18: La pietra dello scandalo in realtà non è contemplata direttamente dal nuovo provvedimento. Il testo infatti esclude il reintegro per i licenziamenti economici, ma lo mantiene per quelli discriminatori e disciplinari, quelli addebitati al comportamento del dipendente, che dovessero essere giudicati ingiustificati dalla magistratura. Un reintegro nel posto di lavoro possibile ma non obbligatorio. L’indennizzo sarebbe maggiorato rispetto a quello standard e aumenterebbe con l’anzianità di servizio del dipendente, applicando quel principio delle tutele crescenti che il governo vuole estendere a tutta la legislazione sul lavoro. Il tutto però dovrà essere specificato nelle norme attuative, che arriveranno nel 2015. Tuttavia l’uscita di Renzi alla Leopolda sembra lasciare poco margine di manovra al mantenimento dell’articolo 18.

CONTRATTO: Verrà incentivato il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti con tagli dei contributi Inps o dell’Irap, in modo da renderlo più vantaggioso rispetto ai contratti a termine. La misura indica per le nuove assunzioni il ricorso a una nuova tipologia contrattuale, il «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio». In pratica un neoassunto, come un disoccupato che dovesse trovare un nuovo impiego, non avrà da subito diritto alle stesse tutele garantite dagli attuali contratti stabili, ma le otterrà gradualmente.

COMPENSO: Il Governo vorrebbe introdurre, eventualmente anche in via sperimentale, il compenso orario minimo, applicabile ai rapporti che prevedono una prestazione di lavoro subordinato o una collaborazione coordinata e continuativa.

DEMANSIONAMENTO: Prevista anche la revisione di altri due punti particolarmente delicati dello Statuto dei lavoratori, dal superamento del divieto (art. 4) delle tecniche di controllo a distanza all’articolo 14, che introduce di fatto la possibilità di demansionamento da parte delle aziende, cioè all’assegnazione al lavoratore di compiti di livello più basso rispetto a quelli svolti in precedenza. L’operazione sarà possibile rispettando le condizioni di vita ed economiche dei lavoratori.

VOUCHER: La legge delega prevede la possibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per le attività lavorative discontinue e occasionali, in tutti i settori produttivi. Ciò dovrebbe avvenire «attraverso l’elevazione dei limiti di reddito attualmente previsti e assicurando la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati». Per questo genere di prestazioni il Jobs act potenzia anche i voucher, o buoni lavoro, suggerendo l’eliminazione del tetto di 5 mila euro l’anno a lavoratore previsto finora.

DISOCCUPAZIONE, SUSSIDIO: L’obiettivo è quello di garantire un assegno non solo ai dipendenti che restano senza impiego, ma anche a quelli che non hanno alcuna tutela, co.co.pro (in mono-committenza, cioè quelli che hanno un solo datore di lavoro) e lavoratori a tempo determinato, escluse partite Iva e altre tipologie. Per loro è in arrivo un sussidio mensile analogo a quello di chi è in cassa integrazione, proporzionato alla durata del lavoro che si è perso. Ma l’erogazione di questo assegno sarà vincolata: ne avrà diritto chi sarà pronto ad accettare una nuova offerta di lavoro congruo o un piano di formazione lavorativa. E qui si pone un serio problema. Il premier ha più volte detto d’ispirarsi all’analogo sistema scandinavo, che però è costosissimo. In Danimarca il sussidio di disoccupazione è universale (e in parte finanziato dai lavoratori stessi), e in Italia si calcola che una misura simile costerebbe non meno di 12/13 miliardi di euro l’anno. Dove si vanno a pescare?

TUTELE: Le polemiche sulla portata dei licenziamenti difficili, come sostengono gli industriali, sembrano però strumentali. Il rapporto del Cnel sul mercato del lavoro 2013-2014 fa sapere che in Italia è già più facile licenziare rispetto a Germania, ma anche in Francia e Olanda il grado di protezione del lavoro è superiore. Nei ranking dell’Ocse, precisa il Cnel, il grado di protezione dei rapporti di lavoro in Italia nel 2013 risultava inferiore a quello francese, e prossimo ai livelli riscontrati in Germania e Spagna

L’esigenza fondamentale dunque non è tanto quella di proteggere chi il lavoro ce l’ha già, ma quella di creare posti di lavoro soprattutto per i giovani. I provvedimenti citati sarebbero in grado, secondo il Governo, di dare una svolta al sistema del lavoro, da anni bloccato, e di creare veramente occupazione. Ma si tratta di interventi di ampio respiro, dei quali vedremo gli effetti solo fra qualche anno, mentre avremmo la necessità di giovarci dei risultati concreti di un piano ambizioso di riforme che, per ora, rimangono sulla carta.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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