Il triste autunno del Monte dei Paschi
Cadono le foglie, ma è un autunno strano e anomalo per la Toscana. Perché sono sparite certezze che credevo immutabili. Manca, per esempio, il crepitìo delle caldarroste sul fuoco: scopro che quest’anno non ci sono castagne, la pioggia dell’estate ne ha bloccato la crescita. Quelle che sono riuscite a svilupparsi un po’ non sono buone nemmeno per fare le ballotte. E so che, fra qualche settimana, non avrò il conforto della fettunta, attesa in questa stagione fin da quand’ero ragazzo, per festeggiare l’olio nuovo. Niente da fare. Quest’anno l’olio nuovo resterà un sogno: la mosca olearia, proliferata a dismisura nell’estate più sconvolgente che si ricordi, si è mangiata le olive prima della raccolta.
In passato, di fronte alle calamità naturali, una fetta di Toscana non necessariamente compresa nella sola provincia di Siena, sapeva di poter contare su una risorsa quasi naturale per il territorio: il Monte dei Paschi. Che in quest’autunno ha subìto gli ultimi due fulmini, schianti non imprevisti di una tempesta che ha portato la mitica banca sull’orlo della catastrofe: prima lo stress test europeo, capace di relegarla fra i peggiori istituti di credito dell’Ue, poi la condanna a tre anni e mezzo dei vecchi vertici, compreso quello che era considerato il numero uno assoluto: Giuseppe Mussari.
Ecco, da osservatore esterno, avevo avuto a un certo punto l’impressione che Mussari, come le castagne e come l’olio d’oliva, fosse una certezza immutabile. Lo pensai nel 2010, a Bruxelles, quando venni invitato a un pranzo con lui che era appena diventato presidente dell’Abi. Mi trovavo nel palazzo della Commissione europea per seguire le trattative della Regione Toscana sui fondi comunitari e, cortesemente, mi chiesero di accomodarmi al ristorante insieme ad altri giornalisti italiani: perché Mussari, al levar della mensa, avrebbe tenuto una conferenza stampa. Alla quale dovevo rappresentare “La Nazione”. Naturalmente accettai e rimasi colpito da quell’uomo elegante e gioviale, classe 1962, giovane militante del Pci negli anni Settanta, diventato banchiere. Lo sapevo capace di dialogare, indifferentemente, con Massimo D’Alema e Giulio Tremonti, garantendosi quella stima trasversale che lo aveva portato, appunto, alla guida dei banchieri italiani. Mi apparve inattaccabile. Potevo facilmente immaginarlo uomo di governo di un centrosinistra moderato. Invece le fondamenta sulle quali poggiava il suo potere cominciavano a scricchiolare proprio nei giorni del suo massimo trionfo. Non so che cosa, fra Antonveneta e i derivati, sia stato giusto o sbagliato. Ma c’era, nel sistema Siena, un intreccio fra politica e potere che avrebbe portato alla devastazione della più antica banca italiana. Qualcosa che era rimasto nascosto anche dai modi gentili, dall’elegante eloquio, dalle sponsorizzazioni e dalle elargizioni. Qualcosa che sembrava umano e che, nei fatti, si è rivelato diabolico.
Ecco, in quello che è l’autunno più triste della Toscana, manca il Monte. Ossia quello che, addirittura con affetto, a Siena e non solo, chiamavano babbo Monte. Un babbo morto, almeno nella vecchia concezione. Un babbo che non si rianima, caro governatore Enrico Rossi, nemmeno con una generosa, ma credo impossibile flebo da un miliardo del governo. La senesità e la toscanità del Monte dei Paschi appartengono ai ricordi del passato. Oggi è necessario puntare a due cose estremamente concrete, che niente più hanno a che fare con il sentimento e con il campanile: la salvaguardia dei risparmiatori e dei dipendenti del Monte dei Paschi. Il resto, caro Rossi, è come cercare caldarroste e fettunta in una stagione devastata dall’imperversare degli elementi.
Danilo Bonelli
Un vecchio proverbio diceva “leva e non metti ogni bel mucchio scema” ma questo evidentemente la dirigenza del Monte non lo conosceva. E così la nostra Toscana ha di fatto perduto tutte e tre le banche più importanti che aveva : la Cassa di Risparmio di Firenze, la Banca Toscana per incorporazione nel Monte Paschi ed infine lo stesso Monte. Se questi sono gli effetti della dominazione PCI-PDS-DS-PD sul nostro territorio c’è davvero di che stare allegri. Soprattutto a sentir parlare il governatore Enrico Rossi che da una parte appronta l’introduzione di un super ticket sanitario sugli interventi chirurgici (!) e dall’altra chiede a gran voce al governo di entrare nel capitale di MPS (ovvero di accollarsene il debito) per evitarne il fallimento. Ora riflettiamo un momento : le difficoltà della sanità toscana derivano in gran parte dal buco di 420 milioni di euro aperto nei conti dell’ASL di Massa con lo stesso Enrico Rossi Assessore alla Salute. Il dissesto del MPS è opera di dirigenti – già condannati in primo grado – che erano una diretta emanazione di dirigenti nazionali del PD, Massimo D’Alema in testa. Bellissima la scelta di Enrico Rossi, soprattutto molto popolare : il PD imperversa e il cittadino versa. Complimenti !
stefano
analisi perfetta, Tengo a fare solo una considerazione: ai tempi del Mussari , presidente dell’Abi, qualche dubbio era leggittimo sul modo di fare il banchiere come aveva dimostrato l’ egregio; comprare una Antonveneta a suon di miliardi di euro in un momento in cui i profitti delle Banche davano già certi segnali, erano buoni tutti di farlo; anzi un mediocre imprenditore non avrebbe mai comprato nulla in quel momento; la politica ha rovinato un gioiello Mondiale e penso che a parlare con D’Alema non ci tenga più nessuno. Ci hanno fregato i risparmi di una vita e dovrebbero a dir poco vergognarsi.