Firenze: Umberto Orsini al Teatro della Pergola è Il Grande Inquisitore
FIRENZE – Un pezzo di storia del teatro calca questa settimana le assi del palcoscenico della Pergola: è Umberto Orsini, che con «La leggenda del Grande Inquisitore» torna a confrontarsi con la complessità di uno dei personaggi più controversi e tormentati della letteratura, quell’Ivan Karamazov la cui versione televisiva ebbe un successo strepitoso, nel lontano 1969. Una media di 15 milioni di spettatori a puntata. Merito della grandezza narrativa di Dostoevskij, ma anche di chi curò la riduzione e dello strepitoso cast di grandi attori teatrali.
Totalmente diverso dal “colossal” corale di 45 anni fa è lo spettacolo che Umberto Orsini porta in teatro con la sua compagnia, puntando l’attenzione su un solo capitolo dell’ultimo romanzo scritto da Dostoevskij nel 1879 (è del resto il capitolo forse più famoso, quello che va sotto il titolo di «Il Grande Inquisitore»). Non una rivisitazione del celebre monologo che il capitolo contiene, ma, a partire da lì, una nuova e attualissima riscrittura scenica intorno a Dostoevskij.
Spiega lo stesso Umberto Orsini: «Quando tantissimi anni fa interpretai il ruolo di Ivan Karamazov in un famoso sceneggiato televisivo, ebbi un successo che oggi è inimmaginabile. Dopo molto tempo mi era venuta voglia di tornare ai temi di quel romanzo e di pronunciare parte delle parole che costituiscono la zona più incandescente del racconto che Ivan faceva al fratello Alioscia e che è generalmente citato come “La leggenda del grande inquisitore”. Assieme a Pietro Babina e a Leonardo Capuano abbiamo immaginato un Ivan sopravvissuto all’immagine che il romanzo ci offriva e che, in un tempo fuori dal tempo, viene continuamente interrogato e perseguitato da un personaggio che potrebbe essere anche una proiezione della sua delirante fantasia, dei suoi sensi di colpa, del desiderio di punizione, del radicato disprezzo per l’umanità intera, della sua paura di confrontarsi colla propria giovinezza così faustianamente invocata e respinta.
Ne è uscito uno spettacolo che cerca di staccarsi dai Karamazov toccandone però i temi di fondo che sono il delitto, la perversione, la negazione della fede e la sfiducia che l’uomo di oggi possa gestire la propria libertà così pesantemente minacciata dalla politica e dalla religione. Sono tre anni che porto in giro questo lavoro e sono gratificato dal consenso che attraverso un percorso apparentemente oscuro e poi improvvisamente chiarissimo prende per mano lo spettatore dandogli la sensazione e poi la certezza di aver assistito a qualcosa che solleva la pelle di Dostoevskij fino a farci vedere la sua carne e, per alcuni, addirittura il suo scheletro».
Lo spettacolo comincia con una lunga scenza silenziosa. Una partitura precisissima di movimenti racconta una relazione che sembra essere sospesa in un tempo e in un’epoca indefinibili. Un’eco lontana di un vissuto che si mostra in modo enigmatico. Allo stesso tempo introduce all’essenza dei personaggi, un’essenza spettrale, inquieta.
«La scena come una macchina del tempo muta radicalmente catapultandoci nel contemporaneo – scrive Pietro Babina nelle note di regia – proponendo allo spettatore un’altra convenzione, quella dello speech della Ted conference in cui ciascuno può raccontare una sua idea, una sua visione del mondo purché politically correct. Qui, in modo ironico, il format della conference democratica viene adoperato per contenuti tutt’altro che corretti, come a voler mostrare che il discorso e la sua retorica sono strettamente connessi e che i significati sono spesso mistificati dall’estetica. L’esposizione dei pensieri del Grande inquisitore, detti da un pulpito della democrazia, risultano perciò più banali, meno aggressivi, quasi scontati e proprio per questo più pericolosi, poiché appaiono tollerabili. Resta, alla fine, la domanda: “Se tutto ciò che questo discorso esprime lo conosciamo a memoria, perché non siamo riusciti a porvi un rimedio?”. E con questa domanda la rappresentazione ripiomba nel buio da cui e venuta».
È stato detto che Dostoevskij nella sua Leggenda scrisse profeticamente la storia dell’umanità nei due secoli a venire. Per Gustavo Zagrebelsky «l’azione teatrale e l’interpretazione dell’Inquisitore qui messa in scena è una certificazione d’attendibilità di quella profezia».
Teatro della Pergola, via della Pergola 18, Firenze
Da martedì 11 a domenica 16 novembre
Compagnia Orsini
Umberto Orsini in «La leggenda del Grande Inquisitore», da «I fratelli Karamazov» di Fëdor Dostoevskij
drammaturgia Babina-Capuano-Orsini, con Leonardo Capuano
scene Federico Babina, Pietro Babina, costumi Gianluca Sbicca, musiche Alberto Fiori, soundesign Alessandro Saviozzi, video effects Miguel D’Errico, regia Pietro Babina
Spettacoli feriali ore 20.45, domenica ore 15.45