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Falstaff

Opera di Firenze: trionfa il «Falstaff» firmato Mehta e Ronconi

Falstaff Scena bosco 1
Un momento del terzo atto del «Falstaff» in scena all’Opera di Firenze

FIRENZE – Non delude le aspettative il «Falstaff» di Giuseppe Verdi che ha debuttato ieri sera 29 novembre all’Opera di Firenze. L’accoppiata fra il direttore Zubin Mehta, alla guida dell’Orchestra e del Coro del Maggio, e il regista Luca Ronconi ha funzionato anche stavolta. È decisamente una bella produzione, con un cast in cui diversi brillano e nessuno, alla fin fine, risulta inadeguato.

Svetta su tutti, letteralmente, l’enorme Ambrogio Maestri, che col numero di interpretazioni del personaggio di Falstaff è ormai a metà strada per eguagliare il record di Leo Nucci con quello di Rigoletto (500). Merita un elogio collettivo il quartetto femminile: forse un po’ meno lirica del dovuto, ma brillante l’Alice di Eva Mei, elegante (anche nell’abbigliamento: le sono toccati forse i più belli fra i costumi femminili, tutti deliziosi) la Meg di Laura Polverelli, fresca ed aggraziata la Nannetta di Ekaterina Sadovnikova, giustamente apprezzata dal pubblico la buffa Quickli di Elena Zilio. Più di una menzione onorevole va ai comprimari maschili: ottimi il Ford di Roberto De Candia (che impersona Falstaff nel cast B) e il Cajus di Carlo Bosi, ma anche Bardolfo (Gianluca Sorrentino) e Pistola (Mario Luperi); inappuntabile il Fenton di Yijie Shi (una volta tanto un bel tenore, di grazia sì, ma non inconsistente). Il vero trionfatore della serata è stato però il Maestro Mehta, acclamato già in entrata e cui è stata tributata l’ovazione più consistente alla fine; sotto la sua guida l’orchestra e il coro hanno offerto una splendida esecuzione.

Benché lo stato di salute non abbia permesso a Ronconi di seguire di persona le prove, la sua impostazione è ben percepibile. È un «Falstaff» crepuscolare, col riflettore puntato sul declino del protagonista, ma anche sulla nota falsa che gli par di percepire nella gaiezza delle allegre comari di Windsor, coniugate ma alla fin fine solitarie rispetto agli ottusi mariti: anche questo dovrebbero rappresentare i velocipedi su cui arrivano in scena loro e le macchine paleo-industriali su cui arrivano gli uomini (Fenton è addirittura in tuta da operaio, mentre il pedante dottor Cajus fa la tirata iniziale su una sorta di botte-pulpito che si libra nel vuoto).

C’è un certo sbilanciamento verso il lato serio dell’opera buffa, che un pochino compromette le ultimissime scene del secondo atto. Un fondo serio è indubbiamente presente nell’originale verdiano, non per nulla composto da un ottuagenario dotato d’intelligenza lucida e consistente esperienza del mondo; queste non favoriscono il persistere di tante illusioni, ma possono aiutare a sviluppare e rafforzare il sentimento del comico, specie se si lavora con un diavolo come Arrigo Boito: ottimo letterato, gli ha confezionato uno dei libretti più fantasmagorici della storia dell’opera, dalla metrica variegata e sorprendente, irto di citazioni letterarie coltissime (Dante e Boccaccio compresi), pieno di invenzioni linguistiche esilaranti. Nel Verdi maturo un po’ di comico fa capolino a volte anche nelle opere tragiche, e forse nelle sue intenzioni di comicità nel «Falstaff» ce n’era un po’ di più di quella percepita da Ronconi; ma l’abilità e l’atteggiamento non coercitivo del regista («Mi piace che gli spettatori vedano in quello che faccio quello che loro possono vedere, che rifiutino quello che ritengono di rifiutare», spiega nelle note di regia) fanno sì che lo spettacolo non si appesantisca, nonostante i pochissimi colori (salvo nella scena del boudoir-trappola di Alice, nel secondo atto, e in quella del bosco “fatato”, nel terzo atto). L’ambientazione, stando a Ronconi, è in una dimensione atemporale (scomparsa ormai, oltre alla nobiltà, anche la piccola borghesia), ma gli abiti la riportano a un’epoca “decandente” per eccellenza, l’ultimo decennio dell’Ottocento in cui fu composto e presentato per la prima volta al pubblico il «Falstaff» di Verdi.

Volle finire la carriera con una risata, Verdi, e chiuse l’opera con la celeberrima fuga sulle parole «Tutto nel mondo è burla … tutti gabbati»; nell’allestimento di Ronconi i personaggi la cantano seduti sul proscenio, ammiccando e puntando il dito sugli spettatori: dal gabbo finale non si salva proprio nessuno, nemmeno loro…

REPLICHE FINO AL 12 DICEMBRE 2014:

Opera di Firenze(Piazza Vittorio Gui – Viale Fratelli Rosselli, 7)

«Falstaff». Musica diGiuseppe Verdi, libretto di Arrigo Boito (da «Le allegre comari di Windsor» di William Shakespeare»)

Orchestra e Coro del Maggio Musicale FiorentinoDirettore:Zubin Mehta,Maestro del coro: Lorenzo Fratini

Regia:Luca Ronconi –Scene: Tiziano Santi – Costumi: Maurizio Millenotti – Disegno luci: A. J. Weissbard

Sir John Falstaff: Ambrogio Maestri / Roberto De Candia (9 e 12 dicembre)
Fenton: Yijie Shi
Ford, marito d’Alice: Roberto De Candia / Alessandro Luongo (2, 4, 9, 12 dicembre)
Mrs. Alice Ford: Eva Mei
Nannetta, figlia d’Alice: Ekaterina Sadovnikova
Mrs. Quickly: Elena Zilio
Mrs. Meg Page: Laura Polverelli
Bardolfo: Gianluca Sorrentino – Pistola: Mario Luperi – Dr. Cajus: Carlo Bosi

Coproduzione con Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari e Fondazione Teatro San Carlo di Napoli

Martedì 2 dicembre, ore 20.30
Giovedì 4 dicembre, ore 20.30
Domenica 7 dicembre, ore 15.30
Martedì 9 dicembre, ore 20.30
Venerdì 12 dicembre, ore 20.30

Guida all’ascolto: 45 minuti prima di ogni recita, nel foyer

Info e biglietti nelsitodell’Opera di Firenze

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