Renzi alla direzione del PD: avanti con le riforme. Ma la minoranza si dissocia e lascia la consultazione
ROMA – La direzione del Partito democratico ha approvato con due soli voti contrari un ordine del giorno che invita «ad andare avanti senza indugio» con le riforme, costituzionale ed elettorale. Subito dopo la lettura dell’ordine del giorno e prima che fosse messo ai voti, è intervenuto Alfredo D’Attorre, chiedendo se fosse possibile «migliorare«il testo delle riforme costituzionali,nel rispetto dei quattro paletti: altrimenti non ci sono le condizioni per partecipare al voto». Alla fine la sinistra democratica ha deciso di non partecipare alla consultazione interna.
CUPERLO – Gianni Cuperlo ricorda che nella precedente direzione era stato chiesto di votare il pacchetto delle riforme `a scatola chiusa´ per tener fede all’accordo con Berlusconi e osserva che «oggi pare che quel contraente non sia più disponibile a rispettare almeno rispetto al timing stringente» e domanda allora se «questo patto esiste ancora, è solido, scricchiola, ha bisogno di un tagliando?». Davide Zoggia ipotizza allora che se davvero è così «si potrebbero fare in Parlamento delle modifiche utili al Paese e al nostro partito». La risposta che arriva da Renzi è netta: «Sulla legge elettorale non è immaginabile riaprire sui punti condivisi dal Pd, Ncd, Scelta civica e per il 90% da FI». Finisce con il voto che approva a larghissima maggioranza (2 soli contrari) la linea di Renzi che, a richiesta di D’Attorre, precisa che modifiche condivise da chi ha già sottoscritto l’accordo sull’Italicum sarebbero ben accette. Altrimenti si procede sul cosiddetto Italicum 2.0.
REGIONI – Dossier Emilia-Romagna. «Si è innanzitutto vinto», rimarca il leader Pd che respinge l’analisi sull’astensionismo frutto della contrarietà al `Jobs act´ come «superficiale, parziale e discutibile». E qui Renzi si concede anche la citazione di «una lettura marxiana se non marxista»: «Spero – scherza – di non essere smentito da Cuperlo ma trovo il rischio di una interpretazione del mondo laddove dovremmo cambiarlo. Il tema è quello di inserire questo ragionamento dentro il quadro di profonde modifiche che stiamo vivendo nel Paese». Certo, l’astensionismo c’è stato, e semmai «condivido la lettura di Diamanti e questa analisi mi preoccupa. Avendo scelto di innervare sulle regioni le riforme, ci deve interessare una scarsa credibilità delle Regioni ed è preoccupante il dato, soprattutto per il giudizio che viene dato sulle regioni».Pungente il commento di Gianni Cuperlo:«Fa bene Renzi a rivendicare con orgoglio le cinque regioni in cui si è affermato il centrosinistra. Quello che non mi convince è che l’astensionismo sia un problema secondario o che non abbia un legame con le scelte di politica nazionale». Resta scettico anche Stefano Fassina: «Rimangono differenze profonde con Matteo Renzi». Alcuni di noi – continua Fassina – «non hanno partecipato al voto sulle riforme non perché non le vogliamo ma perché non sappiamo con chi vanno avanti».
DESTRA – Meglio non dimenticare, aggiunge il premier, che «avanza una nuova destra, Grillo salta e il Pd è sopra il 40% ma deve decidere cosa fare da grande. Fuori dalle nostre discussioni c’è Salvini che è riuscito a far estasiare la Le pen: bravo, non era facile. C’è una destra che gioca una carta per la preoccupazione sull’immigrazione in modo spregiudicato. La nuova destra non deve essere sopravvalutata, bisogna guardarla negli occhi, senza avere paura».
E alla direzione del Pd il premier ha chiesto «un voto sulla convinzione di proseguire il disegno delle riforme per capire se la direzione del Pd è convinta che le riforme vadano accelerate e non rallentate».Ma niente dibattito interminabile interno: «Il congresso lo faremo nel 2017, nel frattempo cambiamo l’Italia», conclude Renzi.