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Riforma delle province: restano un rebus i trasferimenti di competenze e personale

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Graziano Delrio

Nelle province, che avrebbero dovuto essere trasformate dalla riforma Delrio, sembra che alla fine le competenze resteranno invariate, ma senza risorse. I cosiddetti enti di area vasta, trasformati in organismi di secondo livello, continueranno ad esercitare non solo le funzioni ancora loro riconosciute come fondamentali (edilizia scolastica, viabilità, ambiente) ma anche quelle che avrebbero dovuto trasferire alle regioni e che, invece,le regioni intendono rispedire al mittente. L’incertezza regna sovrana, il personale delle province ha cominciato a protestare vivacemente. Ha iniziato la Toscana, dove tutte le sedi sono rimaste occupate anche per Natale. Si chiede allo Stato e alle Regioni chiarezza in merito alla distribuzione di competenze e al riassorbimento del personale.

LOMBARDIA – La prima regione che ha espresso forti dubbi sulle possibilità di assorbire personale e competenze delle province è stata la Lombardia. L’Osservatorio regionale lombardo ha confermato l`orientamento annunciato dal presidente Roberto Maroni: «alle province resteranno tutte le funzioni oggi delegate dalle regioni».

CENTRI IMPIEGO – A cominciare dai centri per l’impiego che, in attesa di essere riorganizzati a livello nazionale dal Jobs act (che prevede l`istituzione di un’Agenzia nazionale per l`occupazione), resteranno a carico dei bilanci provinciali. Questa situazione però dovrà essere gestita a fronte di 1,3 miliardi di tagli e con la prospettiva di dover mandare in mobilità il 50% del personale, dovendo però nel frattempo continuare a sostenerne il costo.

DISSESTO – La prospettiva del dissesto sembra una prospettiva molto reale per le province se non verranno alleggerriti i tagli della legge di stabilità. I più preoccupati sono i sindaci, ai quali la riforma Delrio affida la gestione dei nuovi enti di secondo livello. Marco Filippeschi, presidente di Legautonomie: «Il taglio delle risorse rende la legge Delrio inattuabile e non consente di gestire le competenze fondamentali quali scuole, strade e difesa del suolo. L`esubero del personale slegato dalle funzioni è una scelta che non si giustifica».

DELRIO – I vari provvedimenti adottati prima dal Governo Monti e poi da quello attuale (il Ddl Delrio) hanno condotto non all’eliminazione, ma soltanto a una confusa semi-abolizione che ha cercato di mettere un punto ad una vicenda fin troppo lunga, ma che ha lasciato molti nodi irrisolti. A partire da quello della definizione delle funzioni da trasferire agli altri livelli istituzionali (Comuni e Regioni), che è avvenuta solo alla fine dell’estate. Il passaggio immediatamente successivo riguarda i dipendenti che quelle funzioni esercitavano.

RICOLLOCAZIONE – II punto è che la ricollocazione non si presenta facile. Il grosso dei dipendenti dovrebbe spostarsi nelle Regioni, alle quali toccherebbe accollarsi i relativi stipendi: ma anche questo livello istituzionale ha subito con la legge di Stabilità un drastico ridimensionamento delle risorse, pari a quattro miliardi l`anno. Le Regioni, che già sono contrarie ad assorbire questo personale, dovrebbero sfruttare la propria quota di turn over, che però è comunque esigua: 120 persone l`anno, ad esempio, nel caso dell`Emilia Romagna. Gli uffici statali (in particolare le cancellerie giudiziarie che avrebbero bisogno di essere rinforzate) ne possono assorbire non più di 2 mila. Ci vorrà tempo dunque. Ma anche il presente non è roseo: in attesa di trovare un altro sbocco, i dipendenti restano in forza alle nuove Province che però almeno in alcuni casi dicono di non avere in soldi per pagarli.

RISORSE – Su questo aspetto è intervenuta in modo abbastanza drastico la legge di Stabilità: prima fissando un taglio di risorse consistente e crescente (un miliardo il prossimo anno, due il successivo e tré dal 2017), poi precisando la quota di personale in esubero da trasferire: 50 per cento per le Province ordinarie, 30 nelle Aree metropolitane istituite nelle grandi città. La legge precisa che il ricollocamento di queste 20 mila persone dovrà avvenire entro due anni. Dopo di che scatterà la procedura prevista dal Codice del lavoro pubblico, ma finora sostanzialmente mai attuata, che permette di collocare i lavoratori “in disponibilità” con l’80 per cento dello stipendio per 24 mesi, ed al termine in assenza di altre soluzioni interrompere il rapporto di lavoro. Di due anni in due anni si arriva così al 2019, scadenza non immediata che secondo il governo dovrebbe tranquillizzare i lavoratori interessati: anche perché da qui ad allora molti di loro (l`età media era di 51 anni nel 2013) dovrebbero essere approdati alla pensione.

DIPENDENTI – Infatti i dipendenti protestano. A meno di una settimana dall’entrata in vigore della nuova normativa non sanno esattamente che fine faranno. Manifestazioni si sono svolte in quasi tutte le principali città interessate. A Milano, Firenze, Bologna e in quasi tutte le province toscane i dipendenti hanno protestato sotto le sedi della regione e della provincia. Per i dipendenti di alcuni capoluoghi di regione, sedi di città metropolitane, l’incertezza è ancora più grave perché anche questi ultimi enti, che dovrebbero assorbire una parte degli effettivi, prevedono difficoltà economiche e organizzative prima ancora di partire. Anche il Sindaco Nardella, presidente della nuova città metropolitana di Firenze, ha sottolineato queste gravi difficoltà.

Comunque, come abbiamo visto, con un procedimento macchinoso, costoso e complicato il problema della ricollocazione del personale dovrebbe essere risolto alla lunga in modo indolore (salvo probabilmente che per le casse pubbliche). Resta sempre sul tappeto il tema della ripartizione delle competenze e a questo punto le province, preso atto dei veti regionali e governativi, dovranno prepararsi a gestire comunque quella che ritengono una vera e propria emergenza amministrativa e finanziaria.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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