Pensioni: nel mirino dell’Inps tagli oltre i 2000 euro mensili
FIRENZE – Secondo alcuni commentatori il Governo Renzi avrebbe inviato un brutto segnale ai pensionati con la nomina di Tito Boeri a presidente dell’Inps. Tito Boeri infatti è stato il coautore di un articolo, insieme con altri due professori (Fabrizio e Stefano Patriarca), che sostiene la necessità di chiedere un “contributo di equità” ai pensionati, basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati.
PROFESSORI – Ricostruendo le storie dei contribuenti attraverso il cosiddetto “forfettone” (un metodo indicato in un decreto del 1997) i tre professori calcolano lo scostamento tra pensione effettiva e contributi versati. Per tale scostamento propongono di ricavare il contributo sulla base di un’aliquota progressiva pari al 20, 30 e 50% rispettivamente per pensioni tra 2 e 3 mila euro, 3 e 5 mila euro e superiori a 5 mila euro. Secondo le loro stime si ricaverebbe un risparmio di spesa pari a circa 4,2 miliardi di euro. Ma i professori hanno fatto i conti senza l’oste, perché anche questo tipo di intervento, se fosse instaurato dal Governo, sarebbe sicuramente impugnato dai poveri pensionati e cadrebbe sotto la scure della Corte Costituzionale, come avvenuto in passato.
Vediamo le principali obiezioni che si possono rivolgere a questo tipo di sistema.
1) La finalità dell’intervento limitativo delle pensioni sopra i 2.000 euro sarebbe quella di favorire l’equità intergenerazionale . E’ forse vero che alcuni pensionati oggi godono di pensioni più alte di quelle per cui hanno pagato i contributi. Ma questi pensionati percepiscono esattamente quanto lo Stato ha promesso loro. Se avessero saputo che un diverso criterio di calcolo avrebbe penalizzato la loro situazione si sarebbero comportati in modo diverso, prolungando il periodo di lavoro o utilizzando la previdenza complementare.
2) Come realizzare poi questi calcoli, visto che la posizione di ciascuno dovrà essere considerata per i contributi che ha effettivamente versato? Cosa materialmente impossibile per molti, visto che l’Inps non è in grado di ricostruire le storie contributive delle persone, come sarebbe necessario, sino a 50, 60 o anche 70 anni indietro; addirittura nel settore pubblico mancano i dati ante-1995.
3) Lo squilibrio decresce al crescere del reddito. Quindi per le pensioni più alte lo squilibrio potrebbe essere addirittura negativo. Tanto che il progetto interviene per correggere la distorsione attraverso un’imposta progressiva sullo squilibrio. Che trasforma l’operazione: invece di essere uno strumento per l’equità intergenerazionale assume la natura di un’imposta.
4) Questo provvedimento inoltre, come accennato, sarebbe quasi certamente incostituzionale. Infatti la Corte Costituzionale ha già sancito il sacrosanto principio che l’equità deve essere perseguita attraverso l’intervento della fiscalità generale e non colpendo selettivamente solo alcuni.
5) Il sistema in realtà colpirebbe soprattutto i lavoratori dipendenti, che nel corso della loro vita hanno pagato tasse e contributi fino all’ultima lira e che per questo hanno maturato una pensione dignitosa. I calcoli che gli stessi autori dell’articolo, Boeri in testa, hanno esplicitato dimostrano che l’operazione di ricalcolo peserebbe per ben il 90 per cento (3,7 miliardi su 4,2 miliardi) su ex-lavoratori dipendenti. E confermerebbe la sensazione dell’iniquità del sistema fiscale e previdenziale, che quando si tratta di attuare manovre di redistribuzione basate, ad esempio, sulle aliquote dell’Irpef va a prendere i soldi sempre agli stessi: quelli a reddito fisso.
Al di là delle obiezioni di carattere morale e sociale, credo che il fondamento principale di un’opposizione a questo disegno consista proprio nel forte sospetto d’incostituzionalità dell’intervento. Se Boeri, Renzi, Poletti e Padoan vorranno insistere nella loro azione contro i pensionati, i pensionati sapranno reagire adeguatamente.
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sergio tinti
parole sante come sante le conclusioni!