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Natale 2025
La sede della Regione Toscana, Palazzo Strozzi Sacrati

Le intercettazioni di Rossi svelano il giallo delle dimissioni dell’assessore Scaramuccia

La Regione Toscana avrà molti meno fondi nel 2014
Palazzo Sacrati Strozzi, in piazza del Duomo, sede della presidenza della giunta regionale

Ricordo quella mattina: era il 22 maggio 2012. Un martedì. Non seppi spiegarmi, a botta calda, la clamorosa notizia che avevo scoperto: le dimissioni dell’assessore alla sanità, Daniela Scaramuccia. O almeno non potei fare i collegamenti che oggi, le intercettazioni contenute nella sentenza di assoluzione dell’ex direttore generale dell’Asl di Massa, Antonio Delvino, mi permettono d’intuire. Che cosa accadde? Stavo andando da La Nazione, viale Giovine Italia, al Consiglio regionale, in via Cavour, quando, in piazza San Marco, mi fermai per un caffè. E venni a sapere, del tutto occasionalmente, quella cosa che mi avrebbe cambiato la giornata: ossia che la Scaramuccia, manager prestata alla politica, stava per lasciare l’ incarico attraverso una lettera al capo, ossia il presidente della Regione, Enrico Rossi. Mi dissero che l’avevano vista uscire dall’ultima riunione di giunta con le lacrime agli occhi. Troppo stress, troppa responsabilità, troppa pressione per una come lei, professionista di spessore, ma non politico di razza. Dal 2010 aveva sostituito proprio Rossi, salito alla poltrona presidenziale dopo 10 anni passati alla guida dell’assessorato che si occupa della salute. Il problema? Forse le conseguenze, devastanti per il bilancio toscano, proprio del buco dell’Asl di Massa. Aggiunsero che sarebbe tornata alla McKinsey&Company, società di consulenza strategica e direzionale, dove avrebbe guadagnato di nuovo oltre 200 mila euro l’anno più i benefit. Contro i 120 mila lordi che le dava la Regione.

Tornai al giornale, avvertii il direttore e scrissi il pezzo. Il giorno, mercoledì 23 maggio 2012, dopo la locandina de La Nazione strillava: «Sanità choc: si dimette l’assessore regionale». Un colpaccio. O, se volete, uno scoop. Confermato, intorno a mezzogiorno di mercoledì 23 maggio, dall’improvvisa conferenza stampa dello stesso Rossi. Che non solo non smentì la notizia, ma annunciò il nome del successore della Scaramuccia: Luigi Marroni, direttore generale dell’Asl 10, fra l’altro in scadenza di contratto. C’era anche lei, la Scaramuccia, dietro al tavolo, con Rossi. Giustificò le dimissioni con motivi personali, con la voglia di stare vicina al marito e di proiettarsi in un’altra dimensione lavorativa. Forte anche dell’esperienza di assessore regionale. Sì, un’esperienza forte in tutti i sensi. Capace di costringerla a fronteggiare non solo del buco massese, ma anche l’introduzione (agosto 2011) dei ticket sui farmaci e sulle visite specialistiche e di dover essere in prima linea, senza mai nascondersi, davanti ai casi di malasanità: in corsia o nella gestione dei pazienti e del personale delle Asl. Persona brava e preparata, la Scaramuccia. Scrissi che il suo limite poteva essere la scarsa conoscenza del politichese, cioè di quel gergo da azzeccagarbugli che i politici di razza usano quando si trovano in difficoltà e non hanno risposte. In realtà, lo si scopre oggi, nel maggio del 2012 l’assessorato alla sanità era sotto assedio. Lei, Daniela Scaramuccia, probabilmente non sospettava di essere intercettata, ma certamente viveva male quella situazione e quelle tempestose telefonate con Rossi. Lui, il presidente, che conosco da 15 anni, mi ha sempre giurato di non avere avuto il minimo sospetto, quando faceva l’assessore, di quanto stava succedendo nell’Asl di Massa. Sottolineando di aver voluto fare personalmente il gesto fatidico, una volta scoperto il buco: salire le scale della Procura massese per andare a fare la denuncia. Non dubito della sua parola, anche se la sentenza di assoluzione di Delvino schiude nuovi scenari sulle responsabilità. Però comprendo, a distanza di due anni e mezzo, lo stato d’animo della Scaramuccia. E la voglia di arrendersi e scappare, considerato che, essendo sulla poltrona di assessore da poco, non poteva avere colpe dirette sul bilancio dell’Asl finito in profondo rosso. Le lacrime agli occhi dopo la fine dell’ultima seduta di giunta erano il segno di un dispiacere, quello di lasciare, ma anche di una voglia irrinunciabile: tornare a fare la manager. Lontana dalle inchieste e dalle telefonate tempestose. Puntualmente intercettate.


Bennucci

Sandro Bennucci

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