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Quirinale: infuria il totonomine, Renzi temporeggia, l’Europa guarda (non senza batticuore…)

Roma Palazzo Quirinale
Roma, Palazzo del Quirinale

Siamo nel vivo della battaglia per l’elezione del successore di Giorgio Napolitano. È il momento di tattica e pretattica. Il Pd, partito di governo e di maggioranza relativa in Parlamento, ha convocato la Direzione per discutere le linee guida. Discutere per modo di dire, perché ovviamente la strategia è dettata da Matteo Renzi, che insiste sulla «larga condivisione» con tutti, Forza Italia in primis. Il premier è stato chiaro mettendo l’altolà non solo agli alleati, ma anche alla minoranza interna: “Colloquio con tutti, ma veti da nessuno”. Il nome uscirà soltanto il 28 gennaio, il giorno prima dell’inizio delle sedute alla Camera. Intanto l’Europa osserva e vuol capire. È vero che il Capo dello Stato è solo un garante delle istituzioni e non ha i poteri da repubblica presidenziale, tuttavia Napolitano è sempre stato un convinto europeista e a questi chiari di luna (vedi Atene e dintorni…) non avere bastian contrari può essere motivo di sollievo anche per Juncker.

DEM – È probabile che la minoranza dem sia tentata ugualmente di mandare all’aria il patto del Nazareno. Soprattutto dopo i mal di pancia sorti in conseguenza dell’addio al partito di Sergio Cofferati, espressi chiaramente da Stefano Fassina e Pippo Civati. Anche il diniego opposto dal ministro Boschi alla richiesta di rinviare la discussione delle riforme a elezione presidenziale avvenuta può innescare un braccio di ferro. La strategia delle opposizioni per cercare di bloccare i lavori su legge elettorale e bicameralismo – posticipando così il via libera a dopo l’insediamento del nuovo inquilino del Quirinale – è quella di temporeggiare tenendo un’assemblea al giorno (lunedì Fratelli d’Italia, martedì Lega, mercoledì Forza Italia, giovedì Sel e venerdì M5s) in modo da arrivare a ridosso della prima votazione prevista per il 29 gennaio. Ma probabilmente l’autoritaria presidente Laura Boldrini, per sventare la manovra, imporrà il contingentamento dei tempi.

NOMI – La corsa è partita un po’ in sordina. Molti i nomi in circolazione, ma nessuna personalità di spicco, tale da sbaragliare la concorrenza e convogliare su di sé un consenso quasi unanime.Il candidato di maggior prestigio, il Presidente della Bce, Mario Draghi, si è tirato subito fuori dalla tenzone dichiarando che fare il Presidente della Repubblica non è proprio il suo mestiere. Renzi ha tenuto finora le carte coperte, senza sbilanciarsi. Ha detto soltanto che il candidato deve essere «un arbitro rigoroso». Da parte sua la vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, ha ribadito – in perfetta sintonia col premier (e che altro ci si poteva attendere?) – l’importanza del consenso di Silvio Berlusconi. Aggiungendo che nella scelta dovrà avere un peso determinante il profilo internazionale del candidato. “I nostri rapporti con l’Europa sono fondati spesso su relazioni anche personali, relazioni che sono state costruite e si costruiscono negli anni”.

PRODI – Prodi, a parole, si è autoescluso dalla corsa, ma sembra che le sinistre e la minoranza Dem siano intenzionate a puntare su di lui, almeno nelle prime votazioni, per far capire a Renzi che il professore potrebbe riuscire se tutta la sinistra si concentrasse sul suo nominativo. Fra i renziani si fa strada la candidatura del ministro Pier Carlo Padoan, che certo non farebbe ombra al premier. Restano in pista anche Amato e Veltroni, e mantiene la sua validità l’opzione ‘tecnica’ Visco, qualora si dovesse registrare un nulla di fatto nelle trattative. Il “dottor Sottile” è sostenuto in particolare da Forza Italia, con il benestare (sembra) di Matteo Renzi.

AMATO – È vero che il premier, probabilmente per prevenire o depistare le critiche, ha sciorinato una lista di nomi che vanno da Sergio Mattarella ad Anna Finocchiaro, passando per Piero Fassino; sta di fatto però che il profilo da lui stesso delineato calzerebbe a pennello a Giuliano Amato. Che risulterebbe molto gradito anche al predecessore, giacché è stato proprio Napolitano a nominarlo giudice della Corte Costituzionale. Il prestigio, anche internazionale, di Amato è fuori discussione; ma sulla sua candidatura pesa come un macigno l’indelebile ricordo della ‘rapina’ notturna ai conti correnti degli italiani. La Lega non perde occasione per rievocarla, spingendo il Cavaliere a sponsorizzare piuttosto Anna Finocchiaro.

A parte l’ex magistrata siciliana, l’opzione rosa per il colle più alto sembra tramontata, a meno che Renzi non abbia in serbo qualche sorpresa dell’ultimo minuto, da tirar fuori il 28 gennaio. Una mossa che comporta un rischio. Il premier, com’è noto, vorrebbe che il candidato fosse largamente condiviso e uscisse dalle prime tre votazioni: se però queste dovessero concludersi con la fumata nera, lo smacco per lui sarebbe innegabile.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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