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Diario da Birkenau: visita al campo di sterminio con gli studenti toscani

La partenza del corteo verso il Memoriale di Birkenau
La partenza del corteo verso il Memoriale di Birkenau

da BIRKENAU (Polonia) – «Giancarlo Antipoli di anni 4, Fiorella Calò 5 anni, Aureliano Calò 7 anni, Nedo Fiano 19 anni, Primo Levi 25 anni…». Dopo aver proceduto in corteo, a coppie arrivano davanti ai microfoni, gli studenti delle scuole toscane. E, di fronte al Memoriale dello sterminio di Auschwitz-Birkenau, scandiscono nome ed età di un deportato ebreo, o rom, o sinti, o detenuto politico entrato nel lager e, nella stragrande maggioranza dei casi, mai tornato. Poi Ugo Caffaz e l’assessore regionale Anna Rita Bramerini parlano ai ragazzi. E infine, dopo la deposizione di una corona di fiori, viene recitata una preghiera in lingua Romanés dei rom e sinti; una preghiera in italiano di padre David Maria Turoldo; e viene cantata in ebraico una canzone di preghiera dall’artista Enrico Fink.

È l’apice della seconda giornata del viaggio sul Treno della Memoria della Regione Toscana, che ha fatto arrivare stamani 20 gennaio 500 ragazzi in visita ad Auschwitz fino a venerdì 23. La visita, guidata e organizzata per gruppi distinti, si è svolta al campo di sterminio di Birkenau: 175 ettari di terreni, baracche in murature e legno, recinti di filo spinato, torrette di guardia, camere a gas e forni crematori. Birkenau è, nell’immaginario collettivo, il simbolo stesso dello sterminio nazista e della Shoah. Con Auschwitz, e col campo di lavoro Monowitz, formava un complesso concentrazionario di tre campi principali con circa 50 sottocampi sparsi sul territorio.

All'ingresso del campo di Auschwitz-Birkenau
All’ingresso del campo di Auschwitz-Birkenau

Ad Auschwitz-Birkenau fra il 1940 e il 1945 sono morte circa un milione e mezzo di persone fra uomini, donne, bambini, principalmente ebrei di vari paesi d’Europa. Ma anche 24 mila rom e sinti, 11 mila dei quali erano bambini. Molte persone venivano selezionate alla discesa dai carri bestiame piombati: un medico ufficiale nazista passava, dedicava pochi secondi di attenzione alla persona che aveva davanti, poi, con un cenno indicava «di qua» o «di là». Chi era anziano, debole, o donna incinta o bambino non non ritenuto «utile» era fatto salire sui camion, che a volte, secondo le testimonianze dei sopravvissuti, recavano il simbolo della Croce Rossa sulla fiancata: destinazione le camere a gas.

Gli studenti ascoltano la guida. Tacciono. L’emozione è troppo profonda per esplodere subito. C’è un silenzio attonito. Ci sono gli occhi lucidi. C’è un continuo fotografare e filmare, quasi a voler portare via con sé l’indicibile. Ma c’è di più però: il desiderio di provare, se non a comprendere, a intuire il perché e il come dello sterminio programmato fin nei minimi dettagli dai carnefici nazisti. Che la prima parola in tedesco da insegnare ai prigionieri era il numero tatuato. Che appena avevano ucciso con il gas Zyklon B anche 1500 persone alla volta immediatamente facevano dare una «mano» di calce alla camera a gas, anche allo scopo di rendere credibile ai prossimi che dovevano morire la menzogna dell’«andare a fare la doccia», con tanto di spogliatoio con attaccapanni numerati.

Birkenau, da sin. Gabriele Bergamo e Mirco Paoli del "Dagomari" di Prato
Birkenau, da sin. Gabriele Bergamo e Mirco Paoli del “Dagomari” di Prato

È una delle cose che hanno colpito di più Gabriele Bergamo e Mirco Paoli dell’Istituto tecnico Ites «Dagomari» di Prato. «Perché nascondere mentendo fino all’ultimo a chi veniva portato a morire sul camion il fatto che ormai per loro era finita?» si chiedono i due ragazzi parlando con il cronista. E insieme riflettono sul fatto che lo sterminio era stato calcolato con millimetrica perfezione. La perfezione dell’orrore. «Certo – aggiungono contenti, così come fanno altri ragazzi – un conto è studiare e immaginare, un altro conto e venire qui e vedere, vivere…»

Gabriele e Mirco (e il cronista in realtà sarebbe d’accordo) fantasticano di deviare all’improvviso verso il grande tendone bianco che ricopre il celeberrimo cancello della morte con la torre sul binario che portava gli ebrei deportati direttamente dentro il campo di sterminio di Birkenau. Ma non è possibile. Il cancello della morte, simbolo stesso della Shoah, non è visitabile. Ci sono lavori: sarà attrezzato con riscaldamento per accogliere il 27 gennaio capi di Stato e di Governo da tutto il mondo – compreso il presidente Usa Barack Obama, ma non quello russo Vladimir Putin – insieme a 200 sopravvissuti del lager per celebrare i 70 anni della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau da parte dell’Armata Rossa sovietica.

Birkenau, da sin. le sopravvissute Andra e Tatiana Bucci, e la guida polacca Jadwiga Pinderska-Lech
Birkenau, da sin. le sopravvissute Andra e Tatiana Bucci, e la guida polacca Jadwiga Pinderska-Lech

Le sorelle triestine Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute a Birkenau, invece non andranno alla grande celebrazione del 27 gennaio: «Non amiamo gli eventi con tutte le autorità», spiegano, intervenute anch’esse a una delle visite guidate condotta, in perfetto italiano, da Jadwiga Pinderska-Lech, guida ufficiale del Museo di Auschwitz. Saranno a Roma, invece, le sorelle Bucci. A inaugurare una mostra sulla Shoah e sul dopo-Shoah al Ghetto ebraico della capitale.

Tatiana a Andra avevano 4 e 6 anni quando arrivarono a Birkenau. Era il 4 aprile 1944. Ne uscirono miracolosamente vive il 27 gennaio 1945, liberate dai sovietici. Perché sopravvissero? «Perché eravamo bambine che ebbero fortuna.. – spiegano – di madre ebrea ma di padre cattolico, e questo può aver influito… e perché il dottor Mengele ci scambiò per due gemelle, così non ci mandarono alla camera a gas: ci misero nella baracca dei bambini da usare per gli esperimenti…». Il dottor Josef Mengele. Quando lui o uno dei suoi assistenti apparivano in camice bianco alla baracca dei bambini, era il terrore. I bambini avevano capito che chi seguiva quei signori in camice bianco poi non tornava. Andra e Tatiana Bucci sono tornate a Birkenau oggi per la 24/ma volta dal 2004. Perché? «Il coraggio ce lo danno questi ragazzi, gli studenti che fanno questi viaggi», rispondono. Cosa ricordano di più? «Il camino dei forni crematori là in fondo – racconta Tatiana – vedevamo fumo e fiamme ininterrotte giorno e notte…».

Molte altre cose si affollano nella mente dei visitatori e di chi scrive: la Sauna Centrale, dove i deportati, appena arrivati, entravano persone: vestiti, con i capelli e le valige. E uscivano numeri: tatuati, senza più i loro vestiti, rasati a zero in testa e nelle parti intime. E le macerie di una delle camera a gas mostrata dalla guida, dotata di ben 15 forni crematori, capace di uccidere e bruciare migliaia di persone al giorno. E ancora lo stagno – tutto completamente d’acqua nera – dove i prigionieri ebrei del Sonderkommando venivano costretti a gettate le ceneri dei poveri corpi uccisi e bruciati. I nazisti distrussero buona parte del campo di Birkenau nei giorni della ritirata, il gennaio di 70 anni fa. E oltre il 90% della documentazione con la quale, maniacalmente, archiviavano tutto. Oggi abbiamo solo il 7% dei documenti. Tanto basta però per non dimenticare, secondo l’ammonimento di Primo Levi, citato da Ugo Caffaz nel suo discorso, che: «È successo, e può succedere ancora».

Birkenau, ragazzi in pausa nella visita, seduti sul binario dei treni dei deportati
Birkenau, ragazzi in pausa nella visita, seduti sul binario dei treni dei deportati


Domenico Coviello

Giornalista

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