Pensioni sempre più povere: l’Inps annuncia una nuova trattenuta
Questa volta non è colpa di un’iniziativa di Tito Boeri, ma l’Inps, che ha conti in profondo rosso, continua a ramazzare quattrini dalle tasche dei pensionati. Ecco quello che succederà: l’assegno previdenziale che l’Istituto eroga mensilmente è agganciato alla dinamica del costo della vita, per cui i percettori dovranno restituire, da gennaio 2016, all’ente di previdenza la differenza (0,1%) tra il tasso d’inflazione adottato provvisoriamente (+ 0,3%) e quello definitivo relativo al 2014 (+ 0,2%).
La perequazione viene attribuita al 100% per i trattamenti complessivi fino a tre volte il trattamento minimo (1.500 euro mensili); al 95% per quelli da tre a quattro volte il minimo; al 75% per quelli da quattro volte a cinque volte il minimo; al 50% per quelli da cinque a sei volte il minimo e al 45% per i trattamenti superiori a 6 volte il minimo. Tutte cifre al lordo dell’Irpef.
In tal modo avviene che un pensionato che percepisce 2.000 euro lorde (1500 nette mensili) – quindi non un pensionato d’oro, secondo i canoni di Boeri – a gennaio ha goduto di un aumento di 7 euro, di cui uno e rotti dovrà essere restituito a partire dall’inizio del prossimo anno. Chi percepisce 1.000 euro, ne restituirà uno al mese.
La scarsa crescita del Pil si ripercuote dunque sulla rivalutazione dei contributi versati all’Inps, che serviranno un domani a calcolare la pensione. La questione interessa soprattutto coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che rientrano nel criterio di calcolo della pensione cosiddetto «contributivo». Il meccanismo di calcolo si basa su tre parametri di riferimento: la retribuzione, l’aliquota di computo e il coefficiente di trasformazione del montante contributivo.
In pratica, con il versamento dei contributi il lavoratore accantona il 33% (aliquota di computo dei dipendenti) della retribuzione, mese per mese, anno per anno, andando a formare il cosiddetto «montante contributivo». Montante che è soggetto a rivalutazione annuale sulla base della dinamica quinquennale del Pil (il prodotto interno lordo). Qui sta il problema: se il Pil non cresce si determina una scarsa rivalutazione (cioè guadagno) dei contributi accumulati all’Inps. E di conseguenza le pensioni future saranno più povere.