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La Cassazione è costretta a dettare regole su tutto: anche sul bisognino del cane

cane

ROMA – Tra le tante sciocchezze di cui i giudici, anche di Cassazione, si occupano, talvolta per loro scelta e talvolta perché costretti dai ricorsi, un episodio avvenuto proprio a Firenze ci dà modo di incastonare l’ulteriore perla della nostra giurisprudenza.

BISOGNINO – La Suprema Corte, pronunciandosi in tema penale e non civile (incredibile!) ha emanato in questi giorni una sentenza di portata storica, che ha finalmente precisato il decalogo che i proprietari dei cani debbono seguire per permettere ai loro amici di espletare i loro bisognini senza incorrere nei rigori della legge.

PENALE – La pronuncia infatti, emessa dalla Seconda sezione penale (sentenza 7082), è stata adottata in quanto la questione “coinvolge interessi diffusi nella vita quotidiana nella quale si contrappongono i diritti e gli interessi di milioni di persone divisi tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi accompagna animali da compagnia sulla pubblica via”. Quando si è per strada, avverte la Suprema Corte, è bene tenere il proprio animale “al guinzaglio” o comunque “intervenire con atteggiamenti tali da farlo desistere quantomeno nell’ immediato” dal fare i bisognini sui muri di affaccio degli stabili o sui mezzi parcheggiati. Nell’impossibilità di vietare al cane di fare pipì, diversamente si dovrebbero mettere in atto azioni “al confine del maltrattamento”, è bene portarsi dietro una bottiglietta d’acqua per ripulire. I giudici hanno colto l’occasione per ricordare che “è dato di comune esperienza che, per quanto l’animale possa essere ben educato, il momento in cui lo stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile, trattandosi di un istinto non altrimenti orientabile e comunque non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento”.

GIUDIZIO – Regole dettate certo dal buon senso, ma che non mi sembra dovessero esigere, per essere fissate giuridicamente, un impegno tanto intenso e prolungato non solo della suprema magistratura, ma anche di precedenti gradi di giudizio. La Suprema Corte è stata invece costretta a pronunciarsi sul ricorso, a suo tempo bocciato, del proprietario di un edificio storico di Firenze posto in via Maggio con facciata laterale su via dei Velluti che si era opposto all’assoluzione del proprietario di un cagnolo dal reato di deturpamento “perchè il fatto non costituisce reato” per avere consentito al proprio animale di orinare sulla facciata del suo edificio. Il padrone del cane era stato condannato dal Giudice di pace, ma assolto dal Tribunale di Firenze, nel febbraio 2013, sulla base del fatto che l’uomo aveva con sè una bottiglietta d’acqua e usò il contenuto per pulire il muro.

GRADI – Solo in Italia una controversia di questa eccezionale portata sociale e giuridica può impegnare addirittura tre gradi di giudizio, uno stuolo di magistrati e di avvocati, di cancellieri e di dattilografi, per definire la rilevanza della pipi di un cane sciorinata sulla facciata di un edificio. A quando una prossima sentenza sulla popò di Fido? Per quella forse non basterà una semplice bottiglia d’acqua a scagionare il proprietario.

I perbenisti ci hanno insegnato che le sentenze si rispettano, e noi ci adeguiamo, anche se questa volta lo facciamo a fatica. Infatti questo caso, che potremmo definire ‘di scuola’, rende ancor più urgente una riforma della giustizia che permetta ai magistrati di occuparsi di controversie che coinvolgano interessi essenziali della collettività, lasciando magari ad arbitrati civili o a contenziosi amministrativi la soluzione di queste oziose questioni, che portano però lavoro a tanti professionisti. .


Padoin0

Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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