Caso Moro. Il confessore, don Mennini: mai stato nel covo delle Br
ROMA – Ritornano i fantasmi del sequestro Moro, di quella stagione che, nel 1978, con il sequestro e l’assassinio del Segretario della Dc da parte delle Brigate Rosse, sembrava voler assestare un colpo mortale alla nostra democrazia.
COSSIGA – Francesco Cossiga, che dopo diventò persidente della Repubblica, ma che all’epoca era Ministro dell’Interno, e si dimise dall’incarico proprio dopo la morte di Moro, era fermamente convinto che lo statista fosse stato raggiunto, nel covo delle Brigate Rosse, dal suo confessore, don Antonello Mennini, giovane viceparroco della Chiesa di Santa Lucia, nel quartiere Trionfale di Roma, che durante quei 55 giorni tenne i contatti tra Moro, prigioniero delle Brigate Rosse in un appartamento di via Montalcini, e i suoi familiari.
DON MENNINI – Don Antonello, gesuita, figlio di un alto funzionario laico dello Ior, oggi arcivescovo e Nunzio apostolico in Gran Bretagna, non ha mai raccontato fino in fondo cosa accadde in quelle ore. Ha sempre preferito sminuire il suo ruolo, oppure trincerarsi dietro il segreto della confessione e la sua veste di ministro vaticano. Parlò dell’affaire Moro diverse volte, con gli inquirenti e anche con i giornalisti, ma il sospetto che non abbia detto tutto lo insegue da allora. In un’occasione, nel giugno del 1993, Mennini fu ascoltato in qualità di testimone anche durante il processo Moro-quater e negò di essersi mai recato nell’appartamento di via Montalcini.Raccontò che a partire dal primo contatto telefonico con i carcerieri, il 20 aprile 1978, si era occupato di recuperare le lettere che gli venivano segnalate dai brigatisti e di consegnarle ai familiari del rapito. Negò anche di aver ricevuto tre lettere, scritte da Moro e a lui personalmente indirizzate, di cui furono trovate copie nel carteggio scoperto nell’ex covo brigatista di via Monte Nevoso, a Milano.
PAPA – Il giorno dopo il tragico epilogo della vicenda, con il rinvenimento del corpo di Moro a Via Caetani, la Santa Sede lo fece allontanare dalla Capitale, nominandolo diplomatico. Viaggi in Congo, Turchia, Bulgaria, Russia e Uzbekistan. Poi nel 2002 viene mandato a Mosca, in pianta stabile, come Nunzio apostolico, infine, nel 2010 passa a Londra. Dopo un lungo periodo di silenzio, ora la svolta, per espresso volere di papa Francesco, che ha permesso l’audizione del sacerdote di fronte ai parlamentari della Commissione di inchiesta sul caso Moro.
COMMISSIONE – Ma di fronte ai parlamentari il sacerdote ha negato ancora una volta: “Non ho avuto questa possibilità, non ho potuto confessare Moro e dargli la comunione durante i 55 giorni”. “Anzi – ha continuato Mennini – se fossi stato nel covo avrei cercato di fare qualcosa di concreto per liberare Moro, avrei cercato di parlare con i brigatisti, chiesto di prender me e rilasciare lui. Oppure avrei cercato di ricordare il percorso fino alla prigione, per dare informazioni per le indagini”.
Dopo ormai 47 anni sembra così destinato a rimanere tale il mistero dei rapporti fra Dc e Governo, del rifiuto dell’esecutivo di scendere a compromessi con le Brigate Rosse. Di quella strategia della fermezza che portò in seguito, dopo qualche anno, alla sconfitta del terrorismo, ma che allora costò la vita al politico democristiano, che proprio nel 1978 inventò e promosse il primo “governo di solidarietà nazionale”, caratterizzato dalla presenza del PCI nella maggioranza parlamentare. E non è forse un caso che, proprio oggi che gli eredi dell’allora Pci sono al Governo, sia rispuntata fuori questa vicenda.