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Scuola Diaz, g8 Genova 2001: dopo 14 anni la Corte di Strasburgo condanna l’Italia

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Scuola Diaz a Genova

STRASBURGO – La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito all’unanimità che i maltrattamenti subiti dalle persone presenti nella scuola Diaz di Genova da parte delle forze dell’ordine “devono essere qualificati come ‘tortura’”, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. La decisione è nata dal ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, 62enne all’epoca dei fatti, presente nella scuola al momento dell’irruzione della polizia e vittima di percosse che gli procurarono fratture multiple. Secondo la Corte di Strasburgo la mancata identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti dipende “in parte dalla difficoltà oggettiva della procura a procedere a identificazioni certe, ma al tempo stesso dalla mancanza di cooperazione da parte della polizia”. Inoltre la Corte europea dei Diritti dell’Uomo osserva che gli agenti che hanno aggredito Cestaro non sono mai stati identificati, non sono stati oggetto di un’inchiesta e restano “impuniti”. E “si rammarica che la polizia italiana possa aver rifiutato impunemente alle autorità competenti la collaborazione necessaria per l’identificazione degli agenti passibili di essere coinvolti negli atti di tortura”.

Di fronte alla gravità dei fatti la reazione delle autorità italiane è stata “inadeguata”, così come lo è il diritto penale italiano nel sanzionare e prevenire atti di tortura. Infine la Corte di Strasburgo rileva che il carattere del problema è “strutturale” e richiama l’Italia a “stabilire un quadro giuridico adeguato, anche attraverso disposizioni penali efficaci”, munendosi di strumenti legali in grado di “punire adeguatamente i responsabili di strumenti legali in grado di “punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti”, impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte stessa. I reati ascritti sono caduti in prescrizione. “Questo risultato, secondo la Corte, non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri”.

Questo il commento di Gianni Tonelli, Segretario Generale del Sap, sindacato autonomo di polizia: “In Italia esistono già sanzioni contro chi ha comportamenti di tortura che possono portare a quasi due vite di galera. Ora il parlamento deve approvare una norma, ma non ci si può lasciare andare a un manifesto ideologico contro le forze dell’ordine”.

Anche per questo dovrebbe essere discussa una proposta di legge che introduce nel codice penale il reato di tortura e che è all’esame del Parlamento da quasi due anni. Approvata dal Senato poco più di un anno fa, il 5 marzo 2014, dopo una discussione durata 8 mesi, ora è in seconda lettura alla Camera dove il 23 marzo scorso è approdata in Aula per la discussione generale. L’esame dovrebbe riprendere in settimana, dopo l’ok alla riforma del terzo settore, con i tempi contingentati e quindi certi e rapidi. Ma il testo, già modificato dalla commissione Giustizia di Montecitorio, dovrà poi tornare al Senato.

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