Pensioni: la Corte Costituzionale boccia il blocco delle perequazioni. Anche gli assegni superiori 3 volte al minimo vanno rivalutati
ROMA – Non si possono toccare i diritti acquisiti dei pensionati. La Corte Costituzionale, attraverso una sentenza pubblicata oggi, 30 aprile 2015, ha bocciato il blocco della perequazione sugli assegni superiori a tre volte il minimo Inps. E’ una frustata alla Fornero, che volle quel blocco. E anche una botta da urlo per le casse dello Stato: se si stabilisce la retroattività, dovrebbe esserci un esborso di quasi 5 miliardi di euro. In ogni caso, si tratta di una sentenza che, al di là dell’intervento specifico, costituisce un segnale preciso al governo, al presidente dell’Inps, Tito Boeri e ai dirigenti delle casse autonome (vedi Inpgi, giornalisti) starebbero pensando a tagli delle pensioni per far quadrare conti che spesso non tornano per motivi indipendenti dal pagamento delle pensioni. La speranza dei pensionati è che, finalmente, si smetta di pensare a mettere le mani in tasca a chi ha versato contributi (e tasse) per 40 anni e si decida, se necessario, di fare manovre che coinvolgano tutti coloro, lavoratori dipendenti e autonomi, che percepiscono un reddito. Accanirsi contro i pensionati non solo è moralmente ingiusto ma, ancora una volta, è stato ribadito che risulta incostituzionale. Ma non finisce qui. La Corte Costituzionale potrà pronunciarsi prossimamente anche sulla richiesta di costituzionalità dei prelievi sulle pensioni oltre i 91 mila euro lordi l’anno sollevato da alcune Corti dei Conti regionali.
Ma andiamo alla sostanza del provvedimento dei giudici dell’Alta Corte, dove si stabilisce che: la norma che, per il 2012 e 2013, ha stabilito, “in considerazione della contingente situazione finanziaria”, che sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita, non è in linea con i dettami della Costituzione. Dunque incostituzionale. Lo ha deciso la Suprema Corte, ‘bocciando’ l’art. 24 del decreto legge 201/2011.
“L’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”, afferma la Corte nella sentenza 70 depositata oggi, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra. Una sentenza che dovrà essere valutata con grande attenzione sia dal premier, Matteo Renzi, che dal ministro Padoan, ma anche da tutti coloro che, fino a oggi, hanno sproloquiato sui pensionati e sui loro assegni.