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Natale 2025
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Regioni: è necessaria una profonda riforma, con sostanziosi tagli, per abbattere costi e sprechi

La ciclopica astensione registrata nelle ultime consultazioni (il 59% degli elettori, in tutt’Italia, non si è recato alle urne, il 52% in Toscana) ha dimostrato la disaffezione dei cittadini non solo verso la politica in genere, ma in particolare nei confronti dell’istituzione regionale. Le Regioni ci costano 190 miliardi, con un importo medio di 3.124 euro a testa; Molise e Lazio sono le più «care», con circa 4.000 euro pro capite, la Lombardia e la Sicilia le più costose in assoluto, rispettivamente con 22.332 milioni e 20.593 milioni di euro di spesa totale. Tra le Autonomie speciali, più ricche di competenze e risorse, fanno notizia i quasi 10.000 euro a cittadino della Valle d’Aosta e della Provincia di Bolzano.

REGIONI – Il dibattito torna quindi a concentrarsi sul nodo della questione regionale italiana, sugli oltre 150 miliardi di euro di spesa corrente all’anno, che diventano 190 se si tiene conto anche di uscite in conto capitale e costo di servizio al debito. Per mantenere questi inutili e costosi carrozzoni spendiamo 3.124 euro per ogni abitante, neonati compresi. Il problema è anche quello delle dimensioni territoriali: non è un caso che la più piccola fra le Regioni ordinarie italiane, il Molise, sia in vetta alla graduatoria del «costo» pro capite con 4.622 euro a cittadino, e che la più grande, cioè la Lombardia, sia ultima a quota 2.329: una differenza dalla metà al doppio, che offre qualche argomento importante a chi propone di rivedere i confini regionali riducendo in modo drastico il numero delle Regioni. Visto che non è proprio possibile abolirle.

SPESA – Nelle Regioni otto euro su dieci sono assorbiti dalla spesa corrente (e sei di questi otto euro servono alla sanità) e le uscite non accennano a diminuire (in termini di pagamenti effettivi le sole spese correnti sono cresciute di 909 milioni fra 2014 e 2013). Per questo il Fisco regionale continua a opprimere sempre più i cittadini: l’anno scorso i proventi dell’addizionale regionale hanno raggiunto la cifra record di undici miliardi di euro.

INEFFICIENZE – I cittadini perciò percepiscono, oggi, le Regioni come una moltiplicazione per venti dello Stato centrale e delle sue inefficienze. Sono troppo grandi per essere più vicine dello Stato al cittadino e rispondere meglio dei risultati nei confronti degli elettori. E, contemporaneamente, troppo piccole per fruire delle economie di scala minime che consentirebbero di condurre in maniera efficiente servizi pubblici che chiedono forti integrazioni come ad esempio nelle politiche attive per il lavoro e nella sanità.

NUMERI – I numeri dicono, del resto, che nelle Regioni si annida il cuore del problema dell’espansione della spesa pubblica; le ventuno Regioni assorbono la metà dei quattrocento miliardi di Euro di quella spesa (al netto delle pensioni e degli interessi sul debito pubblico) che dobbiamo assolutamente abbattere per ridurre le tasse che stroncano qualsiasi serio tentativo di ripresa. Facendo un confronto con l’Amministrazione centrale costano quasi il doppio di strutture complesse che sostengono l’onere di macchine pesanti come la scuola, la giustizia e le forze di polizia. Assorbono più del doppio di quanto costano ottomila comuni (che, pure, agli italiani devono garantire asili, mobilità, gestione dei rifiuti e illuminazione pubblica) e dieci volte di più delle Province di cui abbiamo appena abolito le giunte, ma mantenuto strutture e Consigli.

CRISI – È una crisi epocale quella delle Regioni, che rischiano di vedere svuotate le ragioni della propria esistenza da un doppio movimento che sposta le competenze: verso il centro, dove si possono osservare ed affrontare processi globali, e verso il basso dove si riesce meglio ad intercettare i bisogni dei cittadini e a coinvolgerli.

RIFORMA – Dunque appare indispensabile una riforma che riveda complessivamente l’organizzazione della nostra Repubblica. Dovremmo seguire l’esempio della Francia che ha dimezzato le sue Regioni – che pure hanno molti meno poteri e finanziamenti delle nostre – e del Regno Unito che, pur dovendo fare, a seguito del successo elettorale del partito indipendentista scozzese, un massiccio passaggio di poteri a questa Regione, conserva comunque un sostanzioso potere centrale.

RENZI – Renzi, superate le difficoltà derivanti dall’opposizione della minoranza interna, dovrà dedicarsi più attentamente alla riforma dello Stato in tutte le sue articolazioni. L’esperienza insegna – con il fallimento della riorganizzazione che prevedeva l’accorpamento e la diminuzione sostanziale delle province – che eliminare enti divenuti centri di potere e di sostentamento di clientele in Italia è quasi impossibile, ma in questo caso è indispensabile intervenire per ridurre il moloch regionale che, insieme al debito pubblico, è la vera palla al piede dell’Italia.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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