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Certezza del diritto e insicurezza del cittadino: i casi di Firenze e Siena

FIRENZE – Nel linguaggio ufficiale si chiama «percezione di sicurezza del cittadino». Un termine molto spesso riportato nelle relazioni istituzionali, specie quando si vorrebbe far passare il messaggio che è migliorata e che lo Stato soddisfa la gente nel suo dovere di contrasto alla criminalità. Il problema però è uno solo: la «percezione» non è quantificabile, non si calcola con la statistica dei reati aumentati o diminuiti, non ha un valore da 0 a 10. La percezione è uno stato d’animo, che può variare di momento in momento anche nella stessa persona: soprattutto quando questa si sente in difficoltà e vorrebbe – affacciandosi alla propria finestra – vedere in strada una pattuglia delle forze dell’ordine che sta controllando la zona proprio sotto casa sua. Cosa materialmente impossibile ovunque e non solo in Italia.

Se dunque la percezione di sicurezza non si calcola a peso, ci sono però situazioni che possono favorirla ma anche allontanarla. Fanno riflettere due recenti fatti di cronaca, ma gli esempi possono essere un numero all’ennesima potenza.

Firenze. Un marocchino di 38 anni è arrestato il 22 giugno con l’accusa di tentato omicidio per aver lanciato una spranga di ferro contro un vigile urbano che lo ha fermato e sequestrato la merce che stava vendendo abusivamente sul Ponte Vecchio. Il giorno dopo è già in libertà: il giudice ha convalidato l’arresto, ma solo per l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Non è stata accolta la richiesta del pubblico ministero di metterlo almeno agli arresti domiciliari, sembra perché non ha una residenza fissa. Per lui solo l’obbligo di firma in questura ogni giorno fino alla data del processo. E intanto c’è chi lo ha rivede sul luogo di «lavoro» abusivo.

Siena. Tre pluripregiudicati campani per reati contro il patrimonio sono scoperti e bloccati in tempo dai Carabinieri ad Abbadia San Salvatore il 18 giugno, mentre stanno scendendo da un’auto appena rubata. Sono diretti, già camuffati, verso il locale ufficio postale. Nell’auto sono trovati una pistola e alcuni passamontagna. Arrestati e condotti in carcere a Siena per tentata rapina, a disposizione della magistratura. Cosa è successo? Uno dei tre è ancora in carcere, in regime di detenzione preventiva. Gli altri due, uno di Napoli e l’altro di Torre del Greco, sono stati messi agli arresti domiciliari. Dove? A casa loro naturalmente, che dovrebbero aver raggiunto liberamente con i mezzi propri. Cosa abbiano fatto tra Siena e la Campania, di fatto liberi, nessuno può saperlo. Sono filati di corsa a casa loro senza neanche telefonare a nessuno? Quanto poi sia agevole per le forze dell’ordine – specie in Campania – controllare quotidianamente la presenza in casa di tutti coloro che sono ai domiciliari è un altro problema ancora. Quasi come voler fare la multa a tutti i motociclisti che a Napoli viaggiano senza casco.

Non c’è da mettere in discussione che sia la Polizia municipale di Firenze che i Carabinieri della Compagnia di Montalcino ad Abbadia San Salvatore – per restare ai soli due esempi citati – non abbiano fatto il loro dovere fino in fondo. E questo in parte li rincuora: «abbiamo fatto il nostro» dice ciascuno di loro a sé stesso. Altrettanto vero, si dirà, che i giudici hanno applicato la legge e che, ad esempio, per reati con pene sotto ai 3 anni non sono previsti provvedimenti cautelari. Se la legge è generosa non è colpa dei giudici, si obietterà.

Tutto giusto, ineccepibile e nel rispetto della certezza del diritto. Un po’ meno di rispetto invece verso la tanto auspicata «percezione di sicurezza del cittadino» che di fronte a casi del genere rischia di trasformarsi rapidamente in insicurezza. È un po’ come quando si dice in ospedale: «L’operazione chirurgica è perfettamente riuscita. Il paziente però è morto».


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Sandro Addario

Giornalista

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