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Tasse: in Italia si paga ingiustamente l’Iva sulle accise. Sentenza del giudice di pace di Venezia

Stop alle pompe di benzina per lo sciopero dei gestori
Pompa di benzina

ROMA – Gli italiani, che si tratti di fare rifornimento alle pompe di benzina o di saldare le bollette elettriche, pagano più di quanto dovrebbero: questo perché, secondo un astuto e nascosto meccanismo tributario, lo Stato fa pagare l’IVA non solo sul prodotto finito, ma anche sull’accisa applicata al prodotto. Risultato: gli importi lievitano ingiustificatamente. Ma l’imposta sull’imposta è illegittima e quanto versato in più va restituito. A metterlo nero su bianco è il Giudice di Pace di Venezia con una recente sentenza.

VICENDA – La vicenda sorge dalla richiesta di restituzione, fatta da un consumatore veneziano, della quota di IVA pagata sulla bolletta di gas ed elettricità, IVA che viene calcolata, su tutto il territorio nazionale, anche sulle accise. Il giudice gli ha dato ragione, sancendo il principio dell’illegittimità della doppia imposta che lo Stato pretende applicando l’IVA sulle accise. Ricordiamo che l’accisa è un’imposta sulla fabbricazione e vendita di prodotti di consumo e, a differenza dell’IVA, non si calcola sul valore del prodotto, ma sulla quantità. A pagarla è il produttore che, però, la scarica sul consumatore finale, vero e proprio bersaglio – anche in questo caso – dell’imposizione fiscale.

ACCISE – Le accise più importanti che paghiamo in Italia sono quelle relative ai prodotti energetici (gas e metano) e all’energia elettrica (e, quindi, nella bolletta della luce), per finire agli alcolici e ai tabacchi. Ma l’accisa più nota, e anzi famigerata, è quella sulla benzina e sul gasolio in particolare, per quello che interessa gli autotrasportatori: una voce del costo che va a incidere, sul portafogli dell’automobilista, quasi più del valore stesso del prodotto.

IVA – La beffa, però, è che questo importo aumenta in modo progressivo proprio per via della doppia tassa, ossia per l’applicazione dell’IVA anche sull’accisa. Il che è un controsenso, perché se l’accisa è un’imposta, e quindi va a finire allo Stato, non si può attribuire ad essa un “valore aggiunto” (che, appunto, è il presupposto contributivo colpito dall’IVA). Insomma, non c’è alcuna “produzione” da tassare nell’applicazione dell’accisa e, pertanto, essa dovrebbe essere “IVA esente”. Ma così non è. E dunque, secondo il Giudice di Pace di Venezia, il contribuente ha diritto a ottenere indietro le somme richiestegli dal produttore e, in definitiva, dall’erario.

È presumibile che questa sentenza farà scuola e che molti cittadini si rivolgeranno alle associazioni dei consumatori per rivendicare le loro ragioni. E faranno bene.

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