Senato: dem e minoranze, tutti contro Renzi. La strada delle riforme sarà difficile
ROMA – Dopo i fiumi di parole spesi in estate dai vari esponenti Pd, della minoranza dem e delle minoranze parlamentari (in particolare M5S, Forza Italia e Sel) adesso si precisano le posizioni dopo l’intervista a tutto campo rilasciata dal premier al Corriere della sera. Nella quale alcuni esponenti dem hanno visto un’apertura di Renzi al Senato elettivo, mentre gli altri partiti l’hanno giudicata troppo ottimistica, chiedendosi in che paese vive Renzi.
DEM – La minoranza Dem guarda alla ripresa dei lavori parlamentari sulle riforme in calendario per l’8 settembre e chiede al premier Matteo Renzi di dimostrare l’annunciata disponibilità al confronto sulla nuova Costituzione. Il primo banco di prova dei rapporti all’interno del Pd, dopo la pausa estiva, sarà in Senato, dove si discuteranno le riforme con le opposizioni che promettono battaglia e dove 25 senatori Dem dissidenti insistono con la necessità di riaprire il capitolo legato alla elettività diretta dei senatori.
Un capitolo, che Renzi dice di non considerare nevralgico ma che gli sembrerebbe “incredibile” modificare dopo il doppio sì già incassato in Parlamento durante l’esame del provvedimento. L’unico punto indiscutibile, aggiunge comunque, è il superamento del bicameralismo perfetto. Che è anche quanto, sostiene il senatore Federico Fornaro, va dicendo da mesi proprio la minoranza Dem.
OPPOSIZIONI – Schermaglie che nelle prossime settimane, quando si tratterà di votare le centinaia di emendamenti presentati anche dalle opposizioni al ddl Boschi, si dovranno tradurre in scelte concrete. “Cio’ che è certo – prosegue Fornaro replicando alle accuse del premier – è che la minoranza non ha mai firmato emendamenti sulle riforme insieme a Calderoli, Salvini, Grillo e Brunetta: i 17 emendamenti al ddl Boschi sono stati sottoscritti unicamente da senatori Pd”. La lotta politica bisogna “lasciarla fuori da lavori parlamentari – ammonisce però il capogruppo Pd in Senato Luigi Zanda – e va fatta dentro al partito”.
DAMIANO – Il presidente del consiglio ostenta intanto sicurezza sui numeri a Palazzo Madama, dove potrà contare anche sulla pattuglia dei verdiniani, ma qualora le opposizioni si saldassero le decine di votazioni potrebbero nascondere più di qualche insidia per il governo. E dunque “la logica del braccio di ferro va abbandonata – dice Cesare Damiano (Pd) – Non serve minacciare elezioni anticipate o Vietnam. Serve invece ricercare una soluzione politica”. E che secondo il presidente della commissione Lavoro della Camera potrebbe consistere nel ripescare il listino da votare al momento delle elezioni regionali.
SEL – Ma c’è chi non crede che la volontà di dialogo sia reale: “La verità – è la tesi di Massimo Mucchetti – è che Renzi non ha alcuna voglia di confrontarsi e più semplicemente vuole la conta e cerca di costruirsi una maggioranza di transfughi da Forza Italia e, forse, da Sel e M5S”. Obiettivo che però, almeno per quanto riguarda Sinistra ecologia e libertà, assicura la capogruppo al Senato Loredana De Petris, non sarà raggiunto: “Posso capire la disperazione del governo e della stampa che lo appoggia dal momento che al Senato i numeri per approvare la riforma non ci sono. Ma Renzi dovrà andarli a cercare da qualche altra parte”.
GASPARRI E LEGA – “Lo aspettiamo in Parlamento – avverte Maurizio Gasparri di Fi – dove per fare le riforme dovrà fare i conti con i numeri e con la realtà”. Numeri e realtà che anche la Lega di Salvini promette amara rilanciando l’invito a dare la ‘spallata’ a Renzi “che prima va a casa e meglio è”.
È comunque evidente che l’approvazione della legge costituisce un nodo fondamentale per il Governo. O passa la riforma, o tutti a casa.