Mostro di Firenze: 30 anni fa l’ultimo delitto. Io scrissi che…
«Ci sono due morti a San Casciano Val di Pesa, li hanno ammazzati sotto una tenda. Vuoi vedere che è tornato il Mostro?». Antonio Villoresi, collega che seguiva la ‘nera’, ruppe con voce strozzata la monotonia di un pomeriggio ancora afoso nella cronaca di Firenze de La Nazione. Era il 9 settembre del 1985, un lunedì. Reazioni immediate: chi chiamava i fotografi; chi andava ad avvertire il direttore; chi cercava Mario Spezi, il collega “mostrologo”, cioè colui che aveva seguito i delitti precedenti. Fino a quel momento i morti erano stati 14. Ora diventavano 16. Quasi tutti ragazzi sorpresi mentre facevano l’amore in macchina. Solo una volta, un paio d’anni prima (settembre 1983) il mostro, o chi per lui, aveva ammazzato due uomini, due tedeschi: Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rusch. Un abbaglio? Sì, forse aveva scambiato Rusch, magro e con i capelli lunghi, per una donna. Infatti andò via senza il macabro rituale: la mutilazione del pube, dove poi ficcava un arbusto, o un tralcio di vite.
SCOPETI – I ragazzi uccisi a San Casciano, nella piazzola degli Scopeti, venivano dalle Francia: Nadine Mauriot, 36 anni, bella, separata, madre di due bambine e l’amante giovane, Jean Michel Kraveichvili, 25 anni, musicista e sognatore, come lo descrissero poi i suoi amici. Quando vennero ammazzati? Secondo la prima ricostruzione la notte fra domenica 8 e lunedì 9, ma una coppia che si era appartata nella piazzola nelle prime ore della domenica pomeriggio riferì di aver visto la tenda con dentro una persona distesa. Pensarono che dormisse. Invece Nadine e Jean Michel potrebbero essere stati uccisi nella notte fra sabato 7 e domenica 8. Proprio in questi giorni, 30 anni dopo, ci sono studiosi che basano questa tesi su rivelazioni scientifiche: in alcune conferenze stampa hanno parlato della presenza sui corpi di larve che hanno bisogno di 18 ore per svilupparsi. In realtà anche allora c’era forte propensione all’ipotesi che il delitto fosse avvenuto la notte del sabato. Io non sono uno scienziato, ma solo un cronista: capace però di raccogliere testimonianze e confrontarle. Ebbene, qualche anno dopo andai a Cerbaia a parlare con il militante comunista che faceva il cameriere alla festa dell’Unità e aveva servito i due francesi la sera di sabato 7 settembre. Mi raccontò che li aveva aspettati anche la domenica sera. Invano. La ragazza aveva un fascino straordinario e non era passata inosservata. L’avevano vista? Qualcuno aveva seguito i due amanti nella loro piazzola degli Scopeti? Ripeto: questo testimone lo trovai anni dopo. Gli inquirenti non lo avevano interrogato. Dopo l’intervista lo chiamarono in Procura. Per ripetere quello che aveva detto a me.
NASCOSTO – Ma torniamo in redazione nel pomeriggio di lunedì 9. Io ero vicecapo della cronaca. Non seguivo direttamente la ‘nera’ e la ‘giudiziaria’. Venivo dallo sport e in quel periodo mi occupavo soprattutto di politica. Ma friggevo dalla voglia di scrivere del Mostro. Maurizio Naldini, il capoconista, non fece fatica ad accorgersene. Mi disse: “Vai a San Casciano”. Senza un compito preciso. Potevo spaziare. Ebbi fortuna: appena arrivato agli Scopeti, nella piazzola già delimitata e affollata di carabinieri, poliziotti e investigatori in borghese, notai due magistrati che conoscevo: Francesco Fleury e Paolo Canessa. Parlavano con il professor Francesco De Fazio, docente di criminologia all’Università di Modena. Loro raccontavano, lui annuiva. Mi nascosi dietro un albero per ascoltare: facevano riferimento a un’orma grande, una scarpa numero 45. Che poteva appartenere a un uomo alto e robusto, quello che, verosimilmente, aveva ucciso la povera Nadine con la pistola, finendo poi il ragazzo che sarebbe scappato nel bosco. Mi bastava. Corsi al giornale. Quei particolari non li aveva trovati nessuno. Uno scoop? Sicuramente qualcosa in più, che molto tempo dopo avrebbe avuto uno strascico. Intanto scrissi il pezzo e mi sentii soddisfatto.
SENO – Il giorno dopo mi rimandarono a San Casciano. Detti un passaggio sulla mia macchina a due colleghi del Corriere della Sera: Alessio Altichieri e Gian Antonio Stella, allora magro e non ancora impegnato a fare le ‘pulci’ alla casta politica. Andammo a parlare con un po’ di gente, poi decidemmo di tornare a Firenze per intervistare il questore. Di lì a poco venne fuori la rivelazione: il cadavere di Nadine Mauriot era stato mutilato anche al seno sinistro. Un brandello era stato spedito alla Procura della Repubblica, in una busta anonima indirizzata a uno dei pm, guarda caso una donna: la dottoressa Silvia Della Monica. La lettera con il macabro reperto era arrivata due ore dopo la scoperta dei corpi a San Casciano. Forse il Mostro aveva tentato di annunciare direttamente agli inquirenti, attraverso quel messaggio, il nuovo, duplice omicidi.
TELEFONATA– Nei giorni successivi abbandonai il Mostro per occuparmi della politica e dell’organizzazione del lavoro in cronaca di Firenze. Ma non abbassai la guardia. Anzi, l’alzai lavorando sul mio terreno: quello istituzionale. Avevo conosciuto un giovane viceprefetto, Paolo Padoin (sì, il Padoin che leggete ogni giorno su Firenze Post), che era capo di gabinetto a Palazzo Medici Riccardi. Gli chiesi di poter intervistare il suo ‘capo’, il prefetto Giovanni Mannoni, un signore e un maestro. Anche di giornalismo. Era stato responsabile dell’ufficio stampa del Viminale quand’era ministro degli Interni Francesco Cossiga. Un po’ di tira e molla, poi l’intervista venne concessa. Il titolo? Mannoni: “Il Mostro? Lo prenderemo”. Qualche giorno dopo, il centralino del giornale mi passò un strana chiamata: una voce non giovane mi chiese come aveva fatto, il prefetto, a sbilanciarsi. Rise quando risposi che anch’io pensavo che il maniaco sarebbe stato preso presto. Poi riattaccò. Parlai della telefonata con i colleghi e con un investigatore. Scrollarono le spalle: c’erano tanti mitomani in giro.
OCCHIO RAGAZZI – Il prefetto Mannoni, però, si dette da fare anche personalmente. Firenze era cambiata. La gente aveva paura. Babbi e mamme avevano preso l’abitudine di andare spesso al cinema. Perché? Ovvio: lasciare casa libera ai figli. Se facevano l’amore fra le quattro mura non rischiavano di essere chiamati per riconoscere i cadaveri all’Istituto di medicina legale. Così nacque la campagna “Occhio ragazzi” e venne messa la taglia sul Mostro. Padoin fu protagonista di quelle iniziative. Ve le racconterà direttamente, sempre su Firenze Post. Eppoi? Si parlò di mandanti facoltosi, che forse volevano conservare in vasi di formalina i pezzi di pube tagliati. Ci furono suicidi di professionisti solo per essere stati sfiorati da un velo di sospetti.
PROCESSI – Scrissi sui processi, quando vennero portati alla sbarra Pietro Pacciani e i compagni di merende. Credo che il mistero sul Mostro, o sui Mostri, rimanga ancora. Dieci anni fa, nel 2005, venni chiamato, insieme alla collega Franca Selvatici di Repubblica, dal magistrato Giuliano Mignini (quello che poi divenne il grande accusatore di Amanda…) che indagava sulla morte del medico trentaseienne Francesco Narducci, annegato nel Lago Trasimeno. Una morte in qualche modo legata al Mostro di Firenze. Mignini mi chiese del primo articolo, quello scritto sulla scarpa numero 45, dopo aver ascoltato, nscosto dietro l’albero, le parole di Fleury, Canessa e del criminologo De Fazio. Erano passati vent’anni. Non potevo ricordare altri particolari, non avevo nuovi indizi da fornire. M’interessai invece dell’inchiesta di Mignini quando il magistrato perugino decise di arrestare Mario Spezi. Ero presidente del gruppo cronisti toscani: fui il primo firmatario, insieme alla Selvatici, di un appello perché venisse liberato Mario. Forse era colpevole solo di essersi innamorato troppo delle sue tesi. Ma quella del Mostro è una storia piena di tutto: seminata di cadaveri, con risvolti appassionanti e raccapriccianti. Che trent’anni dopo, anche se ne ripercorro solo qualche stralcio, alimenta dubbi e incertezze.