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Canone e contratto d’affitto: ecco le regole fissate dalla Corte di cassazione

Contratti-Di-Affitto
Contratti d’affitto

Molti proprietari, per evitare il pagamento di tasse di registro e di elevare così il montante del reddito ai fini Irpef anche con il ricavato della locazione, ricorrono a formule scritte di affitto non registrate, che comportano alcuni svantaggi. Visto che, in caso di morosità dell’inquilino, non potranno azionare la procedura accelerata dell’ingiunzione di sfratto per morosità, dovendo invece procedere con un giudizio ordinario molto più lungo e tortuoso.

CONTRATTO – La questione è stata oggetto di due importanti sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, la quale ha chiarito che il contratto di locazione non registrato è nullo solo per l’inquilino e non per il locatore; con la conseguenza che il primo non potrà sfrattare il secondo sostenendo che non sussiste un valido contratto per rimanere dentro casa. Nel caso in cui il contratto di affitto sia stato scritto e registrato, ma riporti un prezzo inferiore, il padrone di casa non potrà agire in causa, nei confronti del conduttore, per i maggiori importi concordati, in quanto tale accordo nascosto è nullo e, quindi, mancherebbe un valido titolo da portare a fondamento della pretesa giudiziaria. L’inquilino, facendo leva sull’ammontare della locazione risultante dal contratto scritto e registrato, potrà richiedere la restituzione di tutte le maggiori somme versate: e ciò perché, come detto, la nullità del contratto non registrato vale solo per il conduttore e non per il locatore.

CASSAZIONE – Quelle appena elencate non sono altro che le conseguenze derivanti da due fondamentali principi in materia di locazione, per come espressi appunto dalla Suprema Corte, la quale ha sancito che, nel caso in cui il contratto di locazione sia stato registrato, ma insieme ad esso sia stato concordato, con un patto nascosto, un corrispettivo superiore rispetto a quello “ufficiale”, il patto sottobanco è nullo. Ha inoltre evidenziato che la cosiddetta “locazione di fatto”, quella cioè stipulata in forma verbale e non scritta, è sempre nulla per l’inquilino, ma vincola il padrone di casa, che pertanto dovrà mantenere il primo dentro l’abitazione per il periodo previsto dalla legge sugli affitti.

REGISTRAZIONE – Tutti i contratti di locazione e affitto di beni immobili (compresi quelli relativi a fondi rustici e quelli stipulati dai soggetti passivi Iva) devono essere registrati o dal conduttore o dal locatore, qualunque sia l’ammontare del canone pattuito. Non c’è obbligo di registrazione solo per i contratti temporanei che non superano i 30 giorni complessivi nell’anno. La registrazione dei contratti di locazione deve essere effettuata entro 30 giorni dalla data di stipula o dalla decorrenza (se anteriore).

CONTRATTO – Avviene spesso che il padrone di casa faccia firmare all’inquilino un “doppio contratto”: uno, riportante un canone inferiore, che viene registrato; l’altro, invece, con un canone superiore, rimane “in nero”. In tal modo, il padrone di casa spera di sottrarre alle tasse almeno una parte del corrispettivo a titolo di affitto. Tuttavia, solo il primo contratto, quello cioè registrato e che prevede il canone di locazione inferiore, è valido; mentre il secondo, che contiene il reale canone di locazione, è nullo e non produce effetti già dal momento della sua firma. La situazione non può essere sanata neanche nel caso in cui il locatore provveda, solo in un secondo momento, a registrare il contratto “in nero”, provvedendo a versare le sanzioni applicategli per il ritardo nella registrazione.

CONDUTTORE – Il conduttore, a questo punto, potrebbe anche agire in causa contro il padrone di casa per chiedere la restituzione delle maggiori somme a lui versate rispetto al minor canone previsto nel contratto registrato, senza timore di essere sfrattato, posto che il contratto registrato resterebbe comunque valido, anche per la parte relativa alla durata.

PRESCRIZIONE – La prescrizione: l’inquilino può esercitare tale azione di restituzione in qualsiasi momento di durata del rapporto di locazione o, in caso di rilascio dell’immobile, non oltre sei mesi da tale momento. In tal modo, egli potrà recuperare tutto quanto indebitamente corrisposto al padrone di casa.

LOCAZIONE DI FATTO – Esiste poi l’ipotesi della cosiddetta “locazione di fatto”, quella cioè che sia stata stipulata oralmente, senza alcun documento scritto. Identica a tale situazione è quella in cui sia stato sottoscritto un contratto, ma questo non sia stato registrato: infatti l’attuale legge stabilisce che il contratto non registrato è nullo e, quindi, come mai venuto ad esistenza. In tal caso il conduttore deve subito ricorrere al giudice per fare accertare l’esistenza del contratto e per ricondurlo agli schemi previsti dalla legge, soprattutto in tema di durata e di misura del canone. In pratica, può essere richiesto al giudice di accertare l’esistenza del rapporto di locazione, provato dal fatto della semplice detenzione dell’immobile da parte del richiedente. La durata è quella prevista dalla legge ed è lo stesso giudice che, in difetto di accordo tra le parti, determina la misura del canone dovuto, in ogni caso non superiore a quello definito per i contratti a canone concordato.

SANZIONI – A quali sanzioni (oltre alle imposte ed agli interessi calcolati sul reddito omesso) è soggetto il locatore? In generale, le sanzioni (fino al 1° gennaio 2017) variano a seconda che si tratti di omessa dichiarazione di redditi: la sanzione varia tra il 120% ed il 240% dell’imposta dovuta (con un minimo di 258 euro); infedele indicazione di redditi: la sanzione varia tra il 100% ed il 200% dell’imposta dovuta.
In entrambi i casi, però, qualora la falsità attenga a redditi derivanti dalla locazione di immobili ad uso abitativo (purché non effettuate nell’esercizio di imprese, arti o professioni), queste sanzioni si applicano in misura raddoppiata, e non si ha diritto ad alcuna riduzione della penalità neppure in caso di definizione dell’accertamento con adesione oppure di rinuncia del contribuente all’impugnazione dell’accertamento. Pertanto, come chiarito dalla stessa Agenzia delle entrate, si rischia una sanzione che va: dal 240% al 480% (con un minimo di 516 euro) in caso di omessa indicazione del canone nella dichiarazione dei redditi dal 200% al 400% in caso di dichiarazione del canone in misura inferiore a quella effettiva.
Dal 1° gennaio 2017 le sanzioni saranno ridotte con possibili effetti retroattivi per via del principio del favor-rei: dal 90% al 180% per la dichiarazione infedele dal 60% al 120% per la dichiarazione omessa (con un minimo di 200 euro) se presentata entro il termine per quella del periodo d’imposta successivo. Per le violazioni (a titolo di infedeltà) di piccola entità, ossia quando la maggiore imposta o il minor credito accertati sono complessivamente inferiori al 3% del dichiarato e comunque inferiori a 30mila euro, può applicarsi la riduzione ad un terzo della sanzione.

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