Papa Francesco: il potere? Meglio Peppone e don Camillo. Firenze tifa per lui
Stanco? Non troppo. Preoccupato? Certamente sì. Dev’essere per questo, ossia per la pena che continua a portare dentro, che al momento di salutare Firenze, alla fine di un 10 novembre che resterà nella storia della città e della Chiesa, Papa Francesco ha mormorato due volte: “Pregate per me”. E le cinquantamila voci del Franchi si sono unite in un lungo, appassionante coro di sì. Un coro univoco, carico d’emozione, che vale come una garanzia. Firenze è rimasta rapita e colpita dalla capacità comunicativa del Papa. Che al Convegno ecclesiale nazionale ha detto di preferire una Chiesa “accidentata e sporca” a una Chiesa “malata e barricata in casa”. E magari capace di andare a braccetto con il potere. Frasi secche, pronunciate durante l’intervento in Santa Maria del Fiore, in mattinata. Che i vaticanisti hanno interpretato come un atto di chiusura e di superamento del “ruinismo” e del “bertonismo”. Ossia il periodo del dominio dei cardinali Ruini e Bertone. Francesco ha richiamato la ricchezza del cristianesimo anche popolare, anche quello uscito dalla penna di Giovanni Guareschi. Gli piacciono Peppone e don Camillo: perché il prete di campagna era vicino alla gente, lottava con spirito genuino per i parrocchiani, fino a far a botte con il sindaco comunista.
LA PIRA – Morale? Firenze ora tifa per Francesco. Diciamo che le viene facile, quasi spontaneo. Firenze, come ha sottolineato il cardinale Betori nel suo discorso di ringraziamento al Pontefice, ha avuto, nel Novecento, figure esemplari come il cardinale Elia Dalla Costa, capace, nel 1936, di chiudere le finestre dell’arcivescovado al passaggio della macchina con Hitler e Mussolini; e anche come don Giulio Facibeni, che fondò la Madonnina del Grappa per accogliere e far crescere i bambini orfani rimasti soli. Ma Firenze, ha insistito il cardinale, ha avuto anche un cattolicesimo vivace, critico, controcorrente: che probabilmente non sarebbe dispiaciuto a Bergoglio. Un cattolicesimo incarnato da Giorgio La Pira, il sindaco santo, e da don Lorenzo Milani, che non aveva problemi ad attaccare il perbenismo di facciata di una Chiesa tollerante con il potere, appunto quella che non piace a questo Papa.
VATILEAKS – Nell’ottica bergogliana, spiccano preti come don Setti, parroco di San Gervasio, che negli anni Novanta adottò un sedicenne albanese, non battezzato e incolto, oggi laureato e orgogliosissimo di essere stato scelto come parroco a Campi Bisenzio. E sempre nella sua ottica non possono essere dimenticate tragedie come il rogo di Prato, nel dicembre 2013, dove morirono sette cinesi. Oggi quasi dimenticati, praticamente cancellati. E non a caso a Prato, alle 8 del mattino, il Papa si è scagliato contro “il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento e il veleno dell’illegalità”. Dunque non stupisce che, prima di ripartire in elicottero per Roma, dove forse lo aspettano altre sorprese su Vatileaks e dintorni, abbia chiesto ai fiorentini di pregare per lui. E comunque di sostenerlo nella difficile battaglia contro i prelati conservatori.