Parigi, quello strano passaporto accanto al terrorista suicida
Non c’è bisogno di essere esperti di «intelligence» per intuire che qualcosa non torna nella ricostruzione degli attentati di Parigi di venerdì 13 novembre, che hanno causato 130 morti. Forse più di qualcosa. Che venga trovato un passaporto (integro) accanto al corpo di un kamikaze che, secondo quanto riferito dalle autorità francesi, si era appena fatto esplodere allo Stade de France davanti a migliaia di persone sembra argomento di fantascienza. La domanda è elementare: quel passaporto l’aveva con sé o qualcuno ce lo ha messo?
Tutto questo è comunque bastato per aprire una presunta «pista siriana», che passa attraverso la Grecia per arrivare in Francia. Si sarebbe trattato di un profugo dalla Siria, transitato per l’isola di Leros (anche i timbri del passaporto sarebbero intatti) e poi arrivato in Francia attraverso la pista balcanica. Non a caso, una fonte dell’intelligence Usa riportata dalla Cbs, si sarebbe affrettata a precisare che il documento non ha «i numeri corretti per un passaporto legittimo e la foto non coincide con il nome».
Come se chi va a fare un attentato girasse con un documento in tasca, vero o falso che sia. Ma è sempre un’ipotesi che calza alla perfezione per chi sostiene, a torto o a ragione, la necessità di alzare il livello di guardia (anche militare) contro il nemico «invisibile» del terrorismo. Al quale va comunque sempre dato un nome: ieri Al Quaeda e il volto di Bin Laden oggi Isis & C.
Sempre sull’attacco allo Stade de France resta pienamente aperto l’interrogativo (riportato anche oggi dall’Huffington Post francese) su come sia stato possibile che tre kamikaze si siano fatti esplodere in un luogo isolato, non uccidendo neanche una persona, quando in un luogo del genere avrebbero potuto fare una strage. Il panico provocato nella gente, si sa, talvolta è più pericoloso del sangue. Ma i dubbi restano. Azione dimostrativa? E perché?
Sono sette i terroristi morti complessivamente a Parigi. Uno ucciso dalla polizia, gli altri dopo che sono state azionate le loro cinture esplosive. Queste ultime, come noto, possono benissimo essere attivate anche a distanza, specie nel caso che il «martire» all’ultimo momento ci possa ripensare. Un altro terrorista sarebbe in fuga e ricercato, ma il tempo gioca solo a suo favore. Difficilmente però, c’è da supporre, lo troveranno vivo. Il fatto è che, ancora una volta, non ci sono superstiti.
Come nel caso del tragico attentato del 7 gennaio 2015 (17 morti) alla sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo. Tre i terroristi complessivamente accertati, tutti morti. Uno di loro aveva anche «dimenticato» la carta d’identità in macchina. Come anche nell’attentato al Museo del Bardo a Tunisi del 18 marzo 2015 (22 morti) dove sono rimasti uccisi anche i due attentatori.
L’Isis (o chiunque davvero operi dietro questa sigla, da qualunque sala di regia si muova) non lascia superstiti che potrebbero raccontare la verità. Ed è questo il reale pericolo per la sicurezza di tutti.
luigi
ci sono molte cose che non tornano , per così dire , in questi ultimi avvenimenti terroristici , il primo è , come fanno i terroristi ad aggirarsi tranquillamente per il mondo senza che gli strumenti delle intelligence , ormai sofisticatissimi ,non ne individuino le mosse? seconda cosa , come mai , dopo nemmeno un giorno dalla strage , si è scoperto tutto e di più sugli attentatori??? chi erano , dove avevano il loro covo , famigliari ,etc etc ?? come mai non si è cercato di prendere vivi questi terroristi ? come mai uno dei terroristi è stato fermato in belgio e poi rilasciato ?