Firenze, Betori al Te Deum: «Accoglienza e dialogo per battere la paura e il terrorismo»
FIRENZE – L’Arcivescovo Cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, ha presieduto, nel pomeriggio del 31 dicembre in Cattedrale, la celebrazione del Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso, e in tale occasione ha proclamato la seguente omelia:
«La lettura di questo Vespro, che introduce la solennità di Maria Santissima Madre di Dio e chiude l’anno civile, propone alcune righe tratte dal capitolo quarto della lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani della Galazia. A legare tra loro la ricorrenza del calendario del tempo degli uomini con la celebrazione dell’evento di salvezza che Dio compie in Maria è il riferimento al compiersi di un tempo che giunge a pienezza e la nascita del Figlio di Dio dalla giovane donna di Nazareth. Il termine pienezza assume però due contenuti tra loro diversi a seconda che lo si riferisca allo scorrere dei giorni dell’anno che giunge al termine o all’accadere dell’amore di Dio per l’umanità che giunge al suo vertice nel farsi uomo del Figlio nel grembo di Maria, che diventa così la Madre di Dio nel tempo. I giorni che si succedono, nel ritmo sempre eguale dell’avvicendarsi delle stagioni, sono il simbolo dell’impossibilità dell’uomo di svincolarsi dai propri limiti e di raggiungere una vera novità di vita. La nascita del Figlio di Dio da Maria realizza invece una radicale novità nella storia, perché immette in essa un potere di vita inaudito, in quanto attinto alla sorgente stessa della vita, al cuore d’amore di Dio che non abbandona le sue creature ma viene a condividerne la storia e a redimerla.
È allora importante cogliere i segni di questa novità, per poterla condividere e trarre da essa orizzonti di speranza. Perché di speranza abbiamo bisogno più che mai in questi nostri tempi, il cui bilancio, alla fine di un anno torna a farsi inquietante e angoscioso.
Gli scenari mondiali sono dominati ancora da crudeli episodi di terrorismo e da irrisolti focolai di guerre, dai drammi della fame e della povertà, da migrazioni di popoli in ricerca di condizioni di vita più dignitose e sicure. In questo contesto di violenza si collocanole persecuzioni che affliggono tanti fratelli cristiani. Non possiamo dimenticarli. Non vogliamo dimenticare in particolare Asia Bibi, la donna pakistana imprigionata da più di sei anni e condannata a morte con una falsa accusa di blasfemia. In lei e in tutti i perseguitati continua la Passione di Gesù.
Le stesse condizioni del pianeta sono fonte di costante preoccupazione a causa degli irrisolti problemi legati a un creato poco custodito e spesso abusato. Il mancato rispetto delle regole elementari della convivenza umana sta alla base anche dei fenomeni di disgregazione sociale, da cui nascono ingiustizie e impoverimenti dei ceti più deboli, complice il dilagante individualismo, pronto a ricercare l’affermazione di sé ad ogni costo, anche al prezzo dell’emarginazione e della sofferenza dell’altro.
E se può consolare qualche timido segno di ripresa sul versante economico, crescono invece le preoccupazioni per la diffusa ricerca dell’ affermazione di diritti che infrangono le fondamenta stesse della persona e della convivenza umana.
Il quadro ora delineato potrà apparire a tinte troppo fosche. Non si vuole certamente negare l’impegno di singoli e istituzioni per il bene comune e il raggiungimento di traguardi significativi di migliore qualità della nostra vita; ma preoccupa il permanere di un orizzonte culturale che sembra aver perso le sue coordinate umanistiche autentiche, quelle legate al riconoscimento della dignità della persona umana sempre e ovunque, in ogni condizione di vita, del primato delle relazioni per la crescita di una convivenza fraterna, da cui nessuno sia escluso o emarginato, del riconoscimento dell’imprescindibile apertura della mente e del cuore degli uomini alla trascendenza come fattore costitutivo del loro valore.
La strada per questo recupero umanistico della nostra identità culturale ci è offerta ancora dalle parole dell’apostolo, quando ci dice che, perché il tempo possa giungere alla sua pienezza, occorre anzitutto un gesto d’amore di Dio, con il dono del suo Figlio, ma anche che tale gesto si compie attraverso la modalità umana di una nascita e quindi nobilita la nostra natura, che si fa tramite del dono di Dio, come pure che attraverso questo dono d’amore si opera in noi un riscatto, una liberazione, la rottura dei vincoli che ci impediscono di essere noi stessi, per giungere alla piena rivelazione della nostra identità, quella di figli di Dio.
Tutto questo trova una sua attualizzazione nell’offerta che la Chiesa ci fa di un anno giubilare, un tempo in cui siamo invitati a un incontro più libero e profondo con la grazia di Dio, con la sua misericordia. L’anno chesi chiude è stato infatti segnato nei suoi giorni conclusivi dall’apertura delle Porte Sante, che siamo invitati a oltrepassare, come segno di conversione e come accoglienza del dono dell’amore di Dio, che vuole tutti salvi.
È un messaggio questo che è risuonato per noi in modo speciale nelle parole pronunciate da Papa Francesco nella nostra cattedrale il 10 novembre scorso, nel giorno in cui ci ha visitati, per un incontro con la città di cui gli siamo profondamente grati. Contemplando l’immagine del Cristo Giudice effigiata nella nostra cupola, il Papa ci disse: «Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui».
La presenza del Papa tra noi ha segnato in modo indelebile il nostro 2015. La memoria e la gratitudine si tramutino ora in fedeltà alle indicazioni che ci ha lasciato. In particolare sentiamoci impegnati a ridare slancio alla vocazione al servizio dei poveri, che da sempre caratterizza la nostra città, traducendo la misericordia che Dio ci dona in misericordia donata ai fratelli; sentiamoci impegnati ad accogliere i fratelli meno fortunati che continuano a venire tra noi alla ricerca di una vita più umana, riconoscendo nel loro volto il volto di Gesù; sentiamoci impegnati a coltivare il dialogo che dà fondamento alla fraternità, tra fedi e convinzioni di pensiero diverse, per edificare una società più armoniosa e giusta; sentiamoci impegnati a offrire nel nostro patrimonio culturale una visione del mondo che unisce aspirazione alla trascendenza e slancio di solidarietà.
Su questi nostri impegni vegli la Vergine Maria Madre di Dio, e continui a generare in noi la presenza del suo Figlio che fa nuovo il tempo degli uomini.Il mio augurio a voi e alla nostra città è che il nuovo anno sia tempo benedetto dalla misericordia di Dio».
Giuseppe card. Betori