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Province: Checco Zalone, in ‘Quo vado’, racconta il calvario della riforma

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La mancata riforma e la confusione che regna in merito al riordino delle province viene attestata addirittura dal film che costituisce il cult in questo momento: Quo vado di Checco Zalone, il quale, nei panni di un impiegato, si trova costretto ad abbandonare l’amato Ufficio caccia e pesca. Chissà se alla stesura del copione avrà collaborato anche il ministro Delrio. Il film dimostra gli effetti della riorganizzazione delle province e del loro personale: sul «posto fisso» inseguito tutta la vita si abbatte il rischio di doversi trasferire dall’altra parte del Paese. Attraverso la sua maschera comica, l’attore pugliese racconta le vite stravolte di migliaia di dipendenti pubblici italiani. La legge sulle Province targata Delrio, della primavera 2014, che avrebbe dovuto cancellarle, ma in realtà le ha trasformate in evanescenti Enti di area vasta retti non più da consigli ad hoc ma da collegi di sindaci, ancora deve trovare completa realizzazione. Soprattutto per quanto riguarda personale e funzioni.

RISORSE INSUFFICIENTI – In un’intervista a La Stampa, il vicepresidente dell’Unione delle province italiane ha fatto il punto sullo stato desolante della riforma. «Se l’obiettivo era quello di tagliare il costo del personale, mi chiedo: il risultato è tutto qui? Meno di duemila dipendenti?». Il sarcasmo di Carlo Riva Vercellotti non è tanto motivato dal numero tutto sommato esiguo degli esuberi delle Province, quanto dalle difficoltà finanziarie e di ricollocamento del personale riscontrate nel 2015. E che ancora non si sono concluse. Il dimezzamento delle risorse da parte dello Stato ha provocato conseguenze a catena sull’efficacia dei servizi e l’impasse sulla distribuzione delle funzioni. Come noto i nuovi Enti sopravvissuti alle vecchie Province mantengono alcune funzioni dette fondamentali; hanno in carico 5.100 edifici scolastici per due milioni e mezzo di studenti, si occupano della manutenzione di circa 130mila km di strade («pari a tre volte il giro della terra passando per l’Equatore», calcola Riva Vercellotti), gestiscono la tutela ambientale e, ultimo regalo del governo, adesso devono anche garantire assistenza ai comuni. Altre funzioni – dalla ormai famosa caccia e pesca all’agricoltura – sulla carta dovevano essere ridistribuite tra gli altri enti: ma, spesso, sono state tenute per un po’ a bagnomaria per poi tornare da dove erano venute. Cioè le Province, pardon, gli Enti di area vasta.

REGIONI: – Le funzioni portano con sé i dipendenti: chi, per esempio, ha visto assegnare la propria competenza alla Regione lì si è dovuto trasferire: in questo caso sono un po’ meno di seimila. Oltre cinquemila hanno continuato a svolgere il proprio lavoro nei discussi Centri per l’impiego, mentre quasi tremila hanno maturato i requisiti per la pensione. Dal ministero della Pubblica amministrazione spiegano che l’iter di ricollocamento procede come previsto: entro l’anno sapranno qual è la nuova destinazione (altri uffici pubblici, prevalentemente giudiziari) anche i quasi duemila ancora in esubero (la Funzione pubblica ha creato un sito per incrociare domanda e offerta).

UPI – Vista dall’Upi, la riforma Delrio va nella direzione giusta, ma nei fatti sconta troppi ritardi e tagli massicci previsti a partire dalla Legge di stabilità 2015. Regioni che hanno adottato all’ultimo minuto le leggi necessarie per stabilire chi deve fare cosa (la Campania, per dirne una, è arrivata solo a un mese dalla scadenza di fine dicembre); e un miliardo in meno in bilancio.

DISSESTO – Lo scorso 29 dicembre, la Provincia di Caserta ha dichiarato lo stato di dissesto, dopo la sforbiciata di 34 milioni, che la incorona la più tartassata in termini assoluti. «Il problema è che noi dobbiamo comunque provvedere a garantire dei servizi: ma dobbiamo farlo con meno uomini e risorse e, paradossalmente, con più funzioni». Con quel «paradossalmente», Riva Vercellotti intende sottolineare quel che spesso sta avvenendo: le Province aspettano ancora i rimborsi regionali degli investimenti fatti per far fronte a funzioni a loro riassegnate dalle Regioni, con soldi giocoforza sottratti ad altri usi. E così, le strade rischiano di rimanere coperte di neve e le scuole al freddo.

CONTENZIOSO: – Un nodo ancora da risolvere è quello dei 550 Centri per l’impiego, oggetto del contendere tra enti diversi. Il personale resta al momento in Provincia, con stipendio pagato da un fondo creato appositamente da Regioni e Ministero del lavoro, fino a quando non arriverà l’ok definitivo alla riforma costituzionale, che prevede il passaggio delle politiche occupazionali dalle Regioni allo Stato. Nel frattempo, solo la Toscana ha già creato una sua Agenzia per il lavoro. «Questa lunga attesa, più i tagli, rischiano di indebolire un servizio fondamentale, tanto più con la disoccupazione che c’è», commenta Riva Vercellotti: è stato calcolato che ogni dipendente dei Centri per l’impiego ha 500 persone da gestire in cerca di lavoro. In Europa la media è abbondantemente sotto i cento.

Dunque una delle poche riforme varate, ma non ancora attuate, e vantate da Renzi come grande conquista del Governo si rivela controproducente e aggrava addirittura i costi pubblici, tanto che è finita nel mirino del comico più in voga. Renzi si è recato a vedere il film e ha dichiarato “Ho riso dall’inizio alla fine”. Peccato che i dipendenti interessati e molti italiani ridano di meno confrontandosi con la cruda realtà. Speriamo però che, vedendo le disavventure del protagonista, il premier abbia riflettuto sul da farsi, e chissà che Checco Zalone non riesca nel miracolo di indurre il Governo a ripensare una riforma confusa e lacunosa. Che mette in difficoltà cittadini e dipendenti.

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