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Banca Etruria: lite interna nel Pd, il bersaniano Gotor attacca il ministro Boschi. Le inchieste aretine

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AREZZO – La “tregua” interna al Pd sulla vicenda di Banca Etruria e del ruolo del ministro Maria Elena Boschi, il cui padre è stato per un periodo vicepresidente dell’istituto aretino, si infrange su uno dei punti più controversi dei rilievi mossi da Banca d’Italia agli ex amministratori di Etruria: la mancata aggregazione con la Banca Popolare di Vicenza. Sono le parole dello stesso ministro Boschi al Corsera (“se fosse stata fatta quell’operazione credo che oggi avrebbero avuto un danno enorme i correntisti veneti e quelli toscani”) a suscitare la reazione della sinistra Dem, con il senatore Pd Miguel Gotor che “suggerisce” a Maria Elena Boschi “maggiore disinteresse, presente e futuro, nell’intervenire in vicende relative alla Banca Etruria”, definendo poi “non consigliabile né opportuno” quanto detto dal ministro, ad un anno di distanza, su una aggregazione bancaria che spettava allora al Consiglio di amministrazione della banca in cui sedeva suo padre.

La proposta di “matrimonio” avanzata nel maggio 2014 da Banca Popolare di Vicenza, secondo gli ispettori di via Nazionale, era invece “l’unica offerta giuridicamente rilevante presentata”: un euro per azione estesa al 90% del pacchetto azionario. Ma non fu neanche portata in assemblea e discussa dal Cda dopo che il presidente di Etruria richiamò l’esigenza di preservare “radicamento territoriale, marchi, personale e autonomia della banca”. Eppure l’organo di vigilanza aveva suggerito a Etruria, già allora in difficoltà, di “realizzare un processo di integrazione con un partner di elevato standing”. Richiesta che sarebbe però rimasta “inevasa”. La mancata valutazione dell’offerta della banca veneta è tra le contestazioni di Bankitalia che ha proposte sanzioni all’ex presidente Lorenzo Rosi, agli ex vicepresidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi e ad altri cinque consiglieri.

Via Nazionale contesta più in generale “sostanziale inerzia” dei vertici della banca dopo aver rilevato nell’ultima ispezione, conclusasi poco meno di un anno fa, che non erano state messe in atto “misure correttive” ed addirittura un “peggioramento della situazione tecnica già gravemente deteriorata”, nonostante le “sollecitazione effettuate dalla vigilanza”. “Premi” troppo alti ai dirigenti, il “proliferare di consulenze e incarichi” ad ex amministratori, la presenza di una “commissione consiliare informale” la cui assenza di verbali avrebbe contribuito a rendere “poco trasparenti” le decisioni, lacune nei controlli anche per quanto riguarda l’antiriciclaggio e la situazione di conflitto di interessi di alcuni amministratori per i loro rapporti con società che avevano rapporti con la banca sono tra le altre più importanti contestazioni.

L’inchiesta intanto prosegue a tappe forzate, ed è ipotizzabile che si chiuderà entro la primavera. Già due, però, le inchieste già chiuse e per le quali sono attese le eventuali richieste di rinvio a giudizio: quelle relative alle false fatturazioni e all’ostacolo alla vigilanza, mentre è in pieno svolgimento è il quarto filone, quello sulla truffa, in attesa che, probabilmente a febbraio, possa arrivare in procura anche la dichiarazione di stato di insolvenza della banca. Toccherà dunque al procuratore verificare se in quelle carte siano ravvisabili gli estremi per il reato di bancarotta fraudolenta, nel cui caso il quadro potrebbe radicalmente cambiare.

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