Commissione Ue all’Italia: a rischio l’approvazione delle legge di Stabilità 2016. Il deficit strutturale peggiora (nel 2016 dell’1,4 e nel 2017 dell’1,3%)
BRUXELLES – «I consumi sostengono la ripresa, ma il deficit strutturale peggiora». In una riga, ecco il giudizio della Commissione europea sulla situazione economica e fiscale dell’Italia. Nel rapporto diffuso stamane Bruxelles rivede al ribasso le stime della crescita italiana, che nel 2016 sarà dell’1,4 e del 2017 dell’1,3 per cento. I dati sono in marginale ribasso rispetto alle stime di novembre e «ancora sotto la media europea». Quest’ultima, segnala un pil in espansione dell’1,7 per cento nell’Eurozona per l’anno in corso e dell’1,9 per il 2017.
CONTI – Negativa, come previsto, la situazione dei nostri conti pubblici. Che non sono migliorati, anzi, con le misure di renzi, non tornano come dovrebbero e alimentano una dialettica complessa con Bruxelles. Nel 2017 il deficit scenderà all’1,5 per cento – dato necessario per centrale il pareggio promesso nel 2018 – solo col doppio aumento Iva, la cui eliminazione costerebbe oltre venti miliardi. Il debito resta alto. Come la possibilità che scatti una procedura europea. O che, in aprile, non tutto vada come si auspica a Roma per lo scongelamento del giudizio della legge di stabilità 2016.
SCONTO – A Roma la Commissione riconoscerà certamente uno sconto di almeno lo 0,4 per le riforme effettuate, ma l’Italia chiede in più un punto aggiuntivo a questa voce, 0,3 con la clausola investimenti e infine due decimi di punto per le spese extra dei migranti, dunque oltre tre miliardi. Ma Bruxelles deciderà caso per caso e annuncia di volerlo fare solo sulle spese straordinarie. Che, a suo avviso, sono state di 800milioni. Come dire che ne mancano quasi due e mezzo.
Questi i rilievi della Commissione in merito ai vari argomenti:
Occupazione – Al Jobs Act viene riconosciuto un effetto positivo sul numero dei posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è indicato all’11.9 per cento nel 2015, all’11,4 per cento nel 2016 e all’11,3 per cento nel 2017. Vuol dire che si migliora, ma ancora troppo lentamente. «Una moderata dinamica salariale, la riduzione del cuneo fiscale e il miglioramento della produttività del lavoro porteranno un incremento del costo nominale unitario della manodopera al di sotto della media dell’area dell’euro nel 2016 e nel 2017». Il quadro resta teso.
Inflazione – Quasi i fermi i prezzi nel 2015 (+0,1) e nel 2016 (+0.3). Il 2017 promette un’impennata (+1.8) a meno che il governo non disinneschi il doppio aumento dell’Iva programmato per salvaguardare la stabilità dei conti. Costa oltre 20 miliardi. Ma se sale imposta sul valore aggiunto coi consumi già deboli, può essere devastante.
Conti pubblici – Il deficit 2015 ha chiuso al 2,5 per cento del pil. «La spesa primaria corrente aumenterà di circa l’1% anno su anno in termini nominali, principalmente per l’impatto del credito d’imposta per i dipendenti a basso salario, l’estensione del sussidio di disoccupazione e le nuove assunzioni nell’istruzione». Il saldo strutturale è marginalmente migliorato nel 2015 rispetto al 2014. Nel 2016, nonostante le prospettive di crescita positiva, il disavanzo nominale dovrebbe diminuire marginalmente al 2,5% del pil. Nel consegue che il saldo strutturale è destinato a peggiorare di circa tre quarti di punto percentuale nel 2016. La pressione fiscale dovrebbe calare anche di tre quarti di punto. Alla fine, in un contesto di «politiche invariate», il disavanzo nominale si prevede che scendere al 1,5% del PIL nel 2017, dato che comprende l’aumento delle aliquote Iva che il governo vuole evitare. Dopo il picco raggiunto nel 2015 (appena al di sotto del 133% del pil) il debito diminuirà solo leggermente quest’anno. Il che lascia aperta la porta a una procedura di Bruxelles.
Costo dei migranti – La spesa relativa al flusso dei migranti è stimata è stimata dal governo in circa 0,2% del Pil nel 2015, appena 0,05 punti percentuali oltre il livello del 2014, ma più del doppio di quelli registrati nel corso 2011-2013. Vuol dire che la spesa straordinaria è computata in appena 800 milioni, dato che rappresenta la base negoziale europea per l’ottenimento della clausola migranti. Noi chiediamo tre miliardi. E la differenza non è da poco.
Vista questa situazione, e considerate le ultime esternazioni di Renzi che hanno irritato non poco i responsabili della Commissione, ci vorrà tutta la diplomazia e l’abilità di Pier Carlo Padoan per rattoppare i rapporti con l’Europa, visto che a maggio ci sarà il giudizio definitivo sui nostri conti, dal quale dipende in buona parte la realizzazione dei progetti governativi. Sperando che nel frattempo il premier non inneschi qualche altra battaglia con l’Unione europea.