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Italia, edilizia in crisi: cancellate 65.455 imprese dal 2008

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ROMA – I nostri vecchi dicevano: «Se tira il mattone, tira l’economia». Il fatto che le cose non vadano è confermato dall’andamento negativo del settore dell’artigianato in genere e in particolare da quelle edile. Secondo un’indagine dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, in Italia, nell’ultimo anno, le imprese attive sono diminuite di 21.780 unità, mentre dall’inizio della crisi (2008) il numero complessivo è crollato di 116 mila attività. Al 31 dicembre 2015 il numero complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso sotto quota 1.350.000.

EDILIZIA – In valore assoluto, l’edilizia (-65.455 imprese) e i trasporti (-16.699) sono le categorie che hanno risentito maggiormente degli effetti negativi della crisi. In sofferenza anche le attività manifatturiere, in particolar modo le imprese metalmeccaniche (-12.556 per i prodotti in metallo e -4.125 per i macchinari) e gli artigiani del legno (-8.076 che diventano -11.692 considerando anche i produttori di mobili).

STREET FOOD – Per contro, invece, parrucchiere ed estetiste (+2.180), gelaterie-rosticcerie-ambulanti del cibo da strada (+3.290) e le imprese di pulizia e di giardinaggio (+11.370) sono aumentate di numero.

IL SUD IN CRISI – A livello territoriale sono state le regioni del Sud ad aver registrato più consistenti contrazioni di imprese: Sardegna (-14,1%), Abruzzo (-12%) e Basilicata/Sicilia (entrambe con -11,1%).

ARTIGIANI NEI GUAI- «A differenza degli altri settori economici – sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – l’artigianato e’ l’unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive; infatti, guardando alle imprese non artigiane solo l’agricoltura e l’estrazione di minerali evidenziano una flessione nell’ultimo anno». Quali sono le ragioni di questa morìa? «La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l’aumento della pressione fiscale e l’esplosione del costo degli affitti hanno spinto fuori mercato molte attività – prosegue Zabeo – senza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale. Ma oltre al danno economico causato da queste cessazioni, c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da tenere in considerazione. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale».

FISCO – «Ricordo – segnala il segretario della Cgia Renato Mason – che nell’ultimo comma dell’articolo 45 della nostra Costituzione si è stabilito che la legge deve provvedere alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato. In questi ultimi decenni, invece, questo principio spesso è stato disatteso, in particolar modo dalle norme in materia fiscale che hanno aumentato in maniera sconsiderata il carico fiscale/contributivo sugli artigiani».

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