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Firenze, Ronaldo (il brasiliano) in Palazzo Vecchio: vita da Fenomeno, il Pallone d’oro, il Mondiale 2002

Ronaldo Luís Nazário de Lima detto il Fenomeno
Ronaldo Luís Nazário de Lima detto il Fenomeno

FIRENZE – Ronaldo in Palazzo Vecchio. Intervistato dagli studenti. La prima domanda è quasi banale: la sua partita più bella. Risposta: ‘Forse quella del Mondiale di Corea e Giappone nel 2002 contro la Germania, dove vincemmo 2-0 e conquistai il titolo piu’ importante per la carriera di un calciatore”. E ancora: “Fra un mese mio figlio più grande avrà 16 anni, un età molto complessa. La determinazione della scelta che farà per cio’ che vuole fare da grande, è la cosa più importante. Da piccolo, molto piccolo, quando ho iniziato con il pallone, ho voluto sempre essere un calciatore, andare in Nazionale, e questa è stata la mia ispirazione. Ho un amore così grande, come se fosse mio figlio, per il calcio e se ami ciò che fai, hai grande motivazioni per essere una persona migliore ogni giorno. Per questo ho cercato di migliorarmi ogni giorno, anche se mi hanno dato un nickname importante come ‘Fenomeno’. Questa e’ stata la grande determinazione per me. Viviamo in un mondo dove vediamo spessissimo la gente cercare di avere dei benefici propri, senza avere attitudine di gruppo, che invece per me e’ importante”.

PALLONE D’ORO – Altra domanda: che cosa si prova a vincere il Pallone d’oro? Ronaldo diventa rosso, poi risponde pacato: “E’ molto bello. Ottenere i premi individuali è molto bello ma non è la cosa è più importante. La cosa che conta di più è raggiungere gli obiettivi collettivi. Prendere un Pallone d’oro vuol dire che tutta una squadra ti ha sostenuto, un allenatore ti ha aiutato. E’il riconoscimento per quello che fai ogni giorno per il tuo mestiere, è una gioia bellissima però non è mai stato il mio obiettivo. Il mio obiettivo è sempre stato giocare a pallone ed aiutare la mia squadra”.

INFORTUNI – Ronaldo: “Ho subito infortuni gravissimi, con la lesione di un ginocchio che non ha avuto precedenti nel calcio e non si sapeva neanche come curarla. Tenevo molto alla fede religiosa, sono cristiano ma l’amore per il calcio mi ha fatto sempre essere determinato e a insistere per lavorare affinchè potessi tornare in campo. Nel primo infortunio sono stato 7 mesi in cui la gamba non si piegava neanche per 45 gradi ed ero spaventato ma ho sempre creduto, giorno dopo giorno mi sono curato, allenato e volevo tantissimo tornare a giocare perchè era quello che sapevo fare meglio. E alla fine sono tornato sempre al calcio, l’amore della mia vita”.

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