Aliquote Iva: battaglia fra basilico e origano e fra regole Ue e italiane
In Italia tutto diventa complicato, anche la tassazione delle erbe: che ha creato una disputa tra i sostenitori del basilico e quelli dell’origano. La questione verte sul diverso livello di aliquote Iva ai quali i due alimenti sono soggetti in virtù di una disposizione comunitaria, l’ennesimo caso nel quale la burocrazia europea si aggroviglia e si ingarbuglia con quella italiana. Creando inutili disagi e difficoltà ai produttori e agli operatori economici.
COMMISSIONE – Pochi sanno che basilico e origano, su richiesta della Commmissione Ue, subiscono un diverso livello di tassazione Iva: la storia inizia da Bruxelles e dalla sua ingiunzione di adeguare l’imposta sul valore aggiunto per il basilico, attualmente ricompreso in fascia agevolata, portarla dal 4%, al 10% . L’origano invece è tassato al 22%. Una modifica che il Parlamento ha inserito nel testo delle «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea» al cui articolo 10 si legge: «L’innalzamento della tassa vale non solo per il basilico, ma anche per rosmarino e salvia freschi destinati all’alimentazione». Visto che sussiste un’evidente incompatibilità delle nostre norme con l’ordinamento comunitario, il rischio è quello di vedersi appioppata l’ennesima procedura di infrazione da parte della Commissione.
SENATRICE – Ma ovviamente ci sono reazione di carattere geopolitico, collegate all’importanza della produzione locale, soprattutto siciliana. La senatrice Venere Padua (Pd) alla Commissione Agricoltura solleva il caso dell’origano iper tassato: «Se il basilico è agevolato nell’imposizione fiscale, perché un suo parente stretto come l’origano viene costretto a pagare il 22% sul valore?». La stessa senatrice spiega che «al contrario di quanto alcuni vorrebbero far credere, la questione è tutt’altro che marginale, nell’universo dell’agricoltura, spesso dimenticato o sottovalutato. Innanzitutto solo per fare un esempio, in Sicilia, ad oggi, ci sono circa 200 ettari di superficie a origano e siano interessati circa 50 produttori, oltre a diversi piccoli appezzamenti (inferiori a un ettaro) coltivati da altri produttori. In media, ogni ettaro di origano produce circa 10 quintali di prodotto secco che viene venduto a circa 8 euro al chilo. Facendo due conteggi, solo in Sicilia, il settore crea una produzione vendibile di circa 1,6 milioni di euro, sul quale incide al 22% un volume di Iva pari a 352 mila euro. Al 4% avremmo un’incidenza di 64 mila, con un risparmio di ben 288 mila euro».
FISCO – Per la risposta al quesito non occorre scomodare Buxelles, si tratta di un errore tutto nostro. Il legislatore fiscale, elencando le spezie con aliquota ridotta (rosmarino, basilico e salvia) si è semplicemente dimenticato l’origano. Una risoluzione della Agenzia delle Entrate del 2006 ha addirittura spiegato che «non essendo specificamente menzionato l’origano tra i prodotti di cui al n. 12-bis della Tabella A parte II del Dpr 633/72 (che regola l’Iva) ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva ridotta, alla cessione di tale prodotto è applicabile l’aliquota ordinaria». Dunque non il 4% ma il 22%.
SENATO – La battaglia è tornata di nuovo in Parlamento e per sciogliere il nodo la Commissione Agricoltura del Senato si è rivolta direttamente al ministro competente, quello dell’Agricoltura, Maurizio Martina, inviando la richiesta di un parere sul tema. Un quesito già arrivato sul tavolo dei tecnici e che dovrà presto avere una risposta. Non prima però che la Ragioneria di Stato abbia elaborato i suoi conti, per capire se l’incremento di gettito determinato dalla maggiore imposta sul basilico sia compensato dal calo dei gettito sull’origano. Insomma la guerra delle erbe continua e sarà forse necessario un nuovo intervento autoritario del premier Matteo Renzi per dipanare la questione.