Lavoro, Istat: le retribuzioni crescono poco e i contratti non vengono rinnovati. Sono effetti della politica del governo Renzi
Le ultime rilevazioni Istat in tema di retribuzioni e contratti di lavoro ci mostrano una situazione sorprendente: la crescita delle retribuzioni è la più bassa (0,8%) mai registrata dall’inizio delle serie storiche, dal 1982, e l’attesa media per il rinnovo dei contratti raggiunge ormai i 23,1 mesi, il periodo più lungo registrato anche in questo caso dall’inizio delle serie storiche, e cioè dal 2005. Con il record dei lavoratori statali che aspettano il rinnovo ormai da 7 anni.
RETRIBUZIONI – Segnala l’Istat che la crescita delle retribuzioni contrattuali orarie dello 0,8% nel primo trimestre 2016 rispetto al periodo precedente è la più bassa mai registrata dal 1982, 34 anni fa. In particolare vedono un incremento tendenziale dell’1% i dipendenti del settore privato (0,8% nell’industria e 1,2% nei servizi privati) e una variazione nulla quelli della pubblica amministrazione, a causa del blocco della contrattazione. Complessivamente, nei primi tre mesi del 2016 la retribuzione oraria media è cresciuta dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2015. I settori che a marzo presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: tessili, abbigliamento e lavorazione pelli (3,4%); energia elettrica e gas, commercio (entrambi 1,9%). Si registrano variazioni nulle nei settori della metalmeccanica, delle telecomunicazioni e in tutti i comparti della pubblica amministrazione.
CONTRATTI – Alla fine del mese di marzo 2016 tra i contratti monitorati dall’indagine si è registrato il recepimento di due nuovi accordi: gomma e materie plastiche, laterizi e manufatti in cemento, quest’ultimo rinnovato prima della sua naturale scadenza. Nello stesso periodo nessuno contratto è scaduto. Alla fine di marzo 2016 sono in vigore 30 contratti che regolano il trattamento economico di circa 5,3 milioni di dipendenti e rappresentano il 38,7% del monte retributivo complessivo. L’attesa media per il rinnovo dei contratti calcolata sull’insieme dei dipendenti sfiora i due anni. A marzo 2016 raggiunge 23,6 mesi, il tempo massimo mai registrato dall’Istat dall’inizio delle serie storiche (nel 2005). È quanto si apprende dall’istituto di statistica. Considerando solo i lavoratori con contratto scaduto, i mesi di attesa sono in media 39,9, oltre tre anni, in aumento rispetto allo stesso mese del 2015 (39,3). La quota di dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 59,2%, in diminuzione rispetto al mese precedente (60,5%), e per il solo settore privato si attesta al 47,3% (era 49% a febbraio). Complessivamente i contratti in attesa di rinnovo sono 45 (di cui 15 appartenenti alla pubblica amministrazione, che sconta il blocco della contrattazione) e riguardano circa 7,6 milioni di dipendenti (di cui circa 2,9 milioni nel pubblico impiego).
Dunque i lavoratori incassano sempre meno, anche se bisogna riconoscere che l’inflazione è quasi inesistente, e debbono attendere sempre più tempo per il rinnovo dei contratti. Questi gli effetti perversi delle politiche del governo, che non riesce a far superare al Paese il periodo di deflazione, causa non secondaria della situazione citata. Ma di queste cose Renzi non si occupa, e forse, quando qualcuno l’avvertirà che qualcosa non torna, tirerà fuori un annuncio ad effetto, al quale non seguiranno fatti concreti, come spesso gli accade.