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Brexit: cosa prevedono i Trattati europei in caso di vittoria di «exit». Negoziazioni fino al 2018

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BRUXELLES – I sondaggi più recenti indicano che i sudditi di Sua Maestà britannica sarebbero in maggioranza propensi ad abbandonare l’Unione Europea. In base a quest’ipotesi si stanno già facendo le previsioni più catastrofiche, tanto che le Autorità europee e nazionali pensano già di correre ai ripari. Ma in realtà la tragedia non sarebbe proprio alle porte. Che cosa prevedono i Trattati Ue nel caso in cui gli elettori del regno Unito dovessero decidere, con il referendum del 23 giugno prossimo, di uscire dall’Unione?

RECESSO – Il diritto di recesso unilaterale da parte di uno Stato membro è relativamente recente nel diritto Ue, visto che non era esplicitamente previsto nei precedenti Trattati comunitari ed è stato contemplato per la prima volta all’Art.50 del Trattato di Lisbona sull’Unione europea, entrato in vigore il primo dicembre 2009. «Ogni Stato membro – recita l’Art.50 – può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione. In questo caso, notifica tale intenzione al Consiglio europeo, ovvero ai capi di Stato e di governo, che formulano degli orientamenti in base ai quali l’Unione negozia e conclude con lo Stato interessato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione».

ACCORDO – L’accordo con il paese secessionista è negoziato secondo una procedura (articolo 218, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’Ue) che prevede che la Commissione presenti delle raccomandazioni al Consiglio Ue, e che il Consiglio autorizzi l’avvio dei negoziati e designi il negoziatore o il capo della squadra negoziale dell’Unione.Il negoziato è poi concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. Per maggioranza qualificata i questo caso specifico, come stabilisce sempre l’Art.50, «si intende almeno il 72 % dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65 % della popolazione di tali Stati». Si tratta di una maggioranza più forte di quella prescritta per le normali decisioni del Consiglio prese in base alle proposte della Commissione (55% degli Stati membri, rappresentanti almeno il 65% della popolazione dell’Ue).

TEMPISTICA – Il paragrafo 3 dell’Art.50 indica la tempistica dell’uscita paese secessionista dall’Unione. I Trattati Ue, stabilisce, «cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica del governo al Consiglio europeo della propria intenzione di far uso della clausola di recesso». In concreto, se il 24 giugno il governo di Londra dovesse constatare che la maggioranza degli elettori britannici vuole il Brexit, e comunicasse poi ufficialmente l’intenzione di recedere dall’Ue al Consiglio europeo previsto per il 28 e 29 giugno prossimi, il Regno Unito cesserebbe di essere uno Stato membro entro la fine di giugno del 2018, prima delle prossime elezioni europee (2019) e della fine del mandato dell’attuale Commissione europea. A meno che, prosegue l’Art.50, «il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare il termine di due anni».

Dunque è estremamente apprezzabile lo scrupolo con il quale Draghi, Presidente della Bce, e la Commissione Ue stanno preparando gli strumenti politici, giuridici ed economici per far fronte alla possibile crisi derivante dal successo dell’ «exit» nella prossima settimana, ma resta poi ancora un tempo sufficiente per negoziare l’uscita della Gran Bretagna. Anche se le conseguenze peggiori deriveranno dalle possibili e preannunciate iniziativa in altri paesi membri, Italia compresa, per provocare altri referendum sull’uscita dall’Europa.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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