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Rai, Renzi: il governo non interviene sugli stipendi, lo faccia l’azienda

La statua del ''Cavallo morente '' di Francesco Messina, esposta all'ingresso della sede Rai di viale Mazzini a Roma, in una foto d'archivio. ANSA / GUIDO MONTANI

ROMA – Matteo Renzi non ha intenzione di intervenire nella polemica sugli stipendi d’oro in Rai. La linea resta quella di neutralità rispetto alle scelte di viale Mazzini anche se nel Pd sono tanti i malumori soprattutto per i cachet da capogiro a ex direttori e conduttori da anni a riposo nei corridoi di Viale Mazzini. “Le scelte spettano ai vertici”, spiegano fonti di governo che evidenziano come la decisione di non mettere il tetto agli stipendi in Rai nacque dalla volontà di rilanciare l”azienda pubblica mettendola in mano a manager esperti di tv.

L”operazione “trasparenza” scoperchia un vaso di Pandora che in realtà è il segreto di Pulcinella. “Vedere Gasparri fare l”anima bella per gli ”stipendi da nababbi” fa solo ridere”, ironizzano nella maggioranza evidenziando come da sempre è nota la pratica in Rai di accantonare direttori, dirigenti e giornalisti con l”avvicendarsi delle ere politiche. Una situazione che sarebbe bene risolvere, auspicano al governo, ma che è una brutta gatta da pelare “perchè con il semplice taglio degli stipendi non più corrispondenti agli incarichi si darebbe la stura a cause milionarie per demansionamento”.

Tutt’altro è, invece, l’atteggiamento della maggioranza rispetto agli stipendi degli attuali vertici. Oggi M5S va all”attacco del Pd accusandolo di aver bocciato l’emendamento che metteva il tetto di 240mila euro anche in Rai. Ma fonti, che hanno seguito in Parlamento la riforma, ricordano come il governo fosse consapevole che, nella nuova Rai, nella quale il direttore generale ha le funzioni di un amministratore delegato, l’arrivo di un manager capace, preso dal mercato, sarebbe stato possibile solo con uno stipendio competitivo. “Per essere chiari, ci era noto che Campo Dall’Orto non avrebbe mai accettato con uno stipendio calmierato”, raccontano nella maggioranza.

Ci sono però due situazioni su cui il Pd chiede al governo di vederci chiaro. Da un lato sulla vicenda dei 22 manager esterni neoassunti, su cui l”Anac chiederà chiarimenti al dg e al presidente, dall’altro sugli extra di manager e supergiornalisti, per ora non resi noti dalla “disclosure”. “Ai compensi pubblicati – chiede Michele Anzaldi – si aggiungerebbero anche ulteriori benefit, parti variabili dello stipendio, carte di credito, abitazioni: questo dato quando verrà pubblicato? E quanto pesa? Se non arriveranno risposte, il governo dovrebbe valutare di verificare se la norma sulla trasparenza sia effettivamente rispettata”.

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