Vitalizi parlamentari: il divario per coprire la differenza dei contributi versati è pagato a piè di lista dal Ministero dell’Economia
ROMA – I vitalizi dei parlamentari esistono ancora e non saranno destinati facilmente a sparire. La casta difende con i denti i suoi privilegi. Tanto che la relativa spesa costituisce la maggiore delle uscite previdenziali per i parlamentari nel bilancio della Camera dei deputati.
Anche se dal 2012 hanno annunciato il passaggio al sisterna contributivo come avviene per tutti i lavoratori italiani, nel bilancio 2015 della Camera dei deputati guidata da Laura Boldrini su 137,82 milioni di spesa per il «trattamento previdenziale dei deputati cessati dal mandato» quasi 111 milioni sono ancora dovuti ai vitalizi. Che non sono attribuiti soltanto ai parlamentari, ma anche ai loro familiari. Gli assegni vitalizi diretti (a ex deputati ancora in vita) ammontano infatti a 85,4 milioni di euro. Gli assegni vitalizi di reversibilità (quelli corrisposti ai familiari dopo la morte dell’ex deputato) ammontamno a 25,3 milioni di euro. Poi ci sono 10,5 milioni di euro di pensioni dirette erogate a chi si avvale del nuovo regime contributivo e ci sono già 370mi1a euro corrisposti per pensioni contributive di reversibilità. Altri 16 milioni sono invece versati al Senato come «quota di assegni vitalizi e pensioni» pagate dall’amministrazione di palazzo Madama a chi ha terminato la vita parlamentare da senatore, ma ha fatto prima anche il deputato.
I contributi per finanziare le pensioni non sono rilevanti, anzi sono scarsi: 7,145 milioni in un anno di trattenute sulla indennità parlamentare destinate al «trattamento previdenziale dei deputati». Non bastano nemmeno a pagare le pensioni contributive dell’anno, che ammontano già a tre milioni di euro in più.
Tanto più che i parlamentari: sono l’unica categoria i cui contributi non vengono investiti per ottenere almeno un pizzico di rendimento con cui pagare le rivalutazioni delle loro pensioni, tanto il divario fra contributi versati e pensioni e vitalizi intascati viene coperto dal ministero dell’Economia con la dotazione annuale a Camera e Senato, cioè da tutti noi. A differenza dei dipendenti della Camera i cui contributi vengono accantonati nel fondo di previdenza per il personale della Camera dei deputati e ogni anno investiti e fatti fruttare per non pesare sulle spalle del contribuente.
Senza un fondo pensione dei parlamentari, il loro sistema previdenziale non è uguale a quello degli altri lavoratori italiani, ed è contributivo solo sulla carta: tanto paga Pantalone. Quando fu fatta la legge per l’indennità parlamentare a metà degli anni Sessanta, e fu deciso di pagare il vitalizio, venne creata la Cassa dei parlamentari, che investiva in titoli di Stato e obbligazioni pubbliche, e faceva fruttare i fondi, a disposizione poi per l’aggiornamento dei vitalizi. Negli anni Ottanta invece i parlamentari hanno deciso di concedersi un aiutino per rientrare nel mondo del lavoro una volta terminato il loro mandato e non più rieletti. Cosi si sono inventati l’assegno di fine mandato, l’aiutino economico che si auto-concedevano per rientrare in società: un mese di indennità parlamentare piena per ogni anno di mandato. Solo che non avevano versato nulla per concedersi quel grazioso regalino. E dove hanno preso i soldi? Dalla Cassa di previdenza dei parlamentari, che cosi in pochi anni è andata a ramengo, prosciugata di tutte le sue risorse.
La conclusione alla fine è sempre la stessa, comunque vada paga sempre Pantalone.