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Governo: ecco tutti i flop dell’esecutivo, gli annunci di Renzi non realizzati e dimenticati da molti

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Non solo il Prodotto interno lordo che dalle alte vette sulle quali era stato portato a parole da Renzi è sceso (certificato dall’Istat) a livelli miseri quest’anno, ci sono anche tante altre promesse che il premier non ha rispettato. E questa volta non è colpa dei gufi. Ecco una lista degli impegni disattesi.

ECONOMIA – In occasione dell’inaugurazione di Expo 2015 a Milano il premier affermò che l’esposizione sarebbe stato uno dei fattori della ripresa, e successivamente sono uscite previsioni che davano il Pil in crescita fino all’1,5% e 191.000 nuovi occupati l’anno fino al 2020. Risultati effettivi, finora il Pil è cresciuto dello 0,8% nel 2015 e si stima un + 0,7 per il 2016.

JOBS ACT – «I dati sul JobsAct segnano un risultato impressionante: da quando il Governo è in carica abbiamo – secondo i dati Istat, non secondo me – qualcosa come 599.000 nuovi posti di lavoro. È un dato fantastico: se penso che Berlusconi con la promessa, non mantenuta, di un milione di posti di lavoro ha monopolizzato il dibattito sul mondo del lavoro per anni mi domando come sia possibile non dare la sufficiente attenzione a questo recupero di 600 mila nuovi lavoratori che per me sono un elemento di svolta cruciale». Così il premier nella sua Enews del 9 agosto è tornato – dopo le polemiche contro i dati dell’Inps, non in linea con i suoi desiderata – su uno degli asset della sua narrazione: la legge «sblocca lavoro». In realtà i posti di lavoro reali sono meno della metà: 278mila dal 2014, dei quali solo 110mila con l’ingresso del Jobs Act.

BANCHE E RISPARMIATORI – «Abbiamo salvato i correntisti, intervenendo come siamo intervenuti». Così nella direzione nazionale del Pd del 4 luglio 2016 Renzi interveniva a proposito del decreto legge sul sistema bancario. Peccato che da quel momento, però, il governo in Europa non abbia trovato grande ascolto nelle sedi opportune. Angela Merkel da parte sua si è dimostrata totalmente contraria a ogni sistema di protezione verso gli investitori privati, risparmiatori inclusi. L’esecutivo italiano infatti ha chiesto a Bruxelles di poter intervenire – proprio come in passato ha fatto la Germania – anche con fondi pubblici, ma dalla burocrazia Ue non sono arrivati segnali incoraggianti. Insomma, ad ora l’intervento dello Stato farebbe scattare automaticamente il cosiddetto bail-in.

REFERENDUM – «Io non credo alla discussione sulla personalizzazione». Così afferma adesso Renzi, dimostrando a parole una saggezza non sfoggiata prima. Infatti il premier è lui stesso colpevole di aver personalizzato, anche in sedi autorevoli, il l tema della cosiddetta riforma Boschi che riguarda l’impianto della seconda parte della Costituzione. Se nelle ultime settimane – vuoi anche per le rilevazioni che registrano un’avanzata del “No” – il premier ha deciso di abbassare il profilo e addirittura pentirsi per l’uscita sulla personalizzazione non era dello stesso avviso in una delle sue Enews: «Dicono che io ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro? Accusano me di voler personalizzare perché loro sono preoccupati che in Italia si affermi il principio sacrosanto che chi perde va a casa». Visti i sintomi di precipitosa retromarcia, sembra che il rottamatore abbia deciso però che questo principio per lui è destinato a non valere.

RAI – «La Rai non è il posto dove i singoli partiti vanno e mettono i loro personaggi, ma è un pezzo dell’identità culturale ed educativa del Paese» (febbraio 2014). «La Rai va tolta ai partiti per ridarla al Paese» (E-news 30 luglio 2014). Risultato concreto dopo i recenti avvenimenti: fuori i partiti, ossia il Parlamento, dalla Rai e dentro (solo) il governo. La riforma della tv di Stato è un compendio della concezione della governance del premier. A partire dalla nomina dell’amico personale Antonio Campo Dall’Orto come direttore generale con poteri da amministratore e dall’invenzione della figura del supervisore delle news Carlo Verdelli. Un accentramento che procede parallelo alla devitalizzazione del cda di nomina parlamentare e alla seguente rimozione di ogni figura distonica rispetto al racconto dell’Italia disegnato da Renzi: via quindi Nicola Porro, Bianca Berlinguer, Massimo Giannini.

ITALICUM – «Il referendum non tocca l’Italicum». Renzi lo ha ripetuto più volte e in effetti l’affermazione, da un punto di vista tecnico, è corretta: il referendum di novembre è sulla riforma costituzionale. Il problema è che la versione della legge elettorale licenziata dal Parlamento non contiene le norme riguardo l’elezione del Senato. Ciò vuol dire che se la riforma della Costituzione non passasse, ci si ritroverebbe a dover votare, a meno di cambiamenti, con due leggi elettorali diverse. l’Italicum per la Camera e quella precedente per il Senato. Un pasticcio che renderebbe l’Italia ingovernabile e un pasticcio che preoccupa da tempo anche il segretario Pd. In fondo, però, Renzi spera che sia la Corte Costituzionale a «riformare», bocciandolo, l’Italicum (su premio di maggioranza e capilista), in modo tale da doverne riparlare dopo il referendum.

IMMIGRAZIONE – «Non c’è un’emergenza in Italia sul fronte dell’immigrazione, nel 2015 sono arrivati 26mila migranti, solo mille in più rispetto al 2014». Per il presidente del Consiglio, a maggio, non vi era di che preoccuparsi. Questo mentre in tutto il territorio nazionale erano aperti focolai di crisi per il posizionamento dei migranti, con una tensione sempre in aumento tra la popolazione in molte zone del Paese. Da maggio, con l’arrivo della bella stagione, la situazione è peggiorata, tanto che i paesi confinanti – il caso del Brennero da parte dell’Austria ha fatto scuola – hanno chiuso le frontiere e in questi ultimi giorni a Como, Milano e Ventimiglia, punti principali di passaggio, la situazione è al collasso.

SCUOLA – «Quando qualcuno contesta sulla scuola, dobbiamo anche notare come oggettivamente si sia prodotta una frattura gestita dal Pd, con una discussione che ha portato passi avanti». Il segretario del Pd lo diceva il 4 luglio. Poche settimane dopo è esplosa la contestazione dei docenti di ruolo che, da un giorno all’altro e molti dopo dieci o vent’anni di precariato, si sono trovati trasferititi a centinaia di chilometri di distanza dalla loro abitazione, per via di un algoritmo «impostato male». La «frattura» tra il governo e il corpo docente – da sempre bacino della sinistra – si allarga a occhio nudo: dopo lo sciopero record del maggio 2015 contro la Buona Scuola, piovono le accuse non solo per una stabilizzazione dagli alti costi sociali, ma – come spiegano gli insegnanti – anche per gli stipendi fermi da sei anni e per i finanziamenti ancora dimezzati per il miglioramento dell’offerta formativa.

DEBITI PA – «Debiti saldati entro il 21 settembre» (Porta a Porta, 13 marzo 2014). Una delle promesse, con tanto di pellegrinaggio a Monte Senario come pegno, più importanti mai mantenute: quella dei debiti che lo Stato contrae con i fornitori. A ricordarglielo un anno fa, esattamente il 21 settembre 2015, è stato Massimo Blasoni, fondatore del centro studi Impresa Lavoro che acquistò una pagina sui quotidiani per spiegare al premier come «il debito era stato liquidato solo in parte e poiché tali beni e servizi vengono forniti di continuo alla Pa, si è ricostituito nel 2014 uno stock di debito commerciale di 70 miliardi di euro. Per il secondo anno di seguito, Renzi non si recherà in pellegrinaggio per espiare la promessa mancata. Le imprese italiane intanto continuano ad aspettare». Dopo due anni dalla promessa? Le imprese aspettano ancora, il padre Abate di Monte Senario anche e il debito ammonta sempre a 61,1 miliardi.

TASSE – «Il taglio delle tasse più sostanziale della storia» (E-news 16 maggio 2016). Anche su questo tema il premier non si è fatto scappare la tentazione dell’annuncio. È realmente così? Stavolta l’Istat non conforta l’ottimismo di Renzi. Comparando i dati, infatti, la pressione fiscale è aumentata: secondo l’istituto nel 2015 si è attestata al 43,5%, uguagliando il governo Monti nel 2012. Insomma, nonostante gli 80 euro le tasse non sono diminuite.

Ci saranno sfuggiti sicuramente altri esempi, probabilmente meno importanti, ma questo non breve elenco di inadempienze dovrebbe far aprire gli occhi alla gente.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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