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Pubblica amministrazione: riforma della dirigenza, prime proteste dei sindacati di categoria

renzi madia1Dopo che è arrivato il primo sì alla riforma della dirigenza si cerca di analizzare più a fondo le novità introdotte dal provvedimento, che crea un mercato unico degli incarichi, con paletti precisi per la durata di ciascun mandato e uno stretto collegamento tra target e stipendio. Chi non centra gli obiettivi rischia di perdere un’abbondante quota della retribuzione, fino al 40%. E nei casi più pesanti si rischia il posto stesso. Nel calderone, che non fa più distinzioni tra amministrazioni e fasce, finirà anche la gran parte dei super capi: tra loro solo uno su tre potrà contare su un salvagente. Per il premier Matteo Renzi si dà vita «a un nuovo modello di dirigenza», con un focus sui «premi di risultato» piuttosto che di posizione.

La riforma Madia cambierà in altre parole la vita ad oltre 36 mila dirigenti. Dal conto vanno esclusi presidi e medici, per cui sono già in vigore regole ad hoc. Incarichi, stipendi, obiettivi, formazione, pagelle, licenziabilità, sono alcuni dei capitoli più importanti riscritti dal decreto, al suo primo passaggio in Cdm.

Il ruolo unico, il nuovo mercato della dirigenza, ingloberà tutti, con garanzie limitate solo per chi oggi ricopre la prima fascia, circa 524 posizioni. Il salvacondotto, per continuare a mantenere la stessa carica, sarà però limitato ad una quota dei dirigenti top (almeno il 30%).

Possibile, pur di evitare l’estromissione, optare per la retrocessione a funzionario. A vigilare su tutto saranno delle commissioni ad hoc, una per ogni livello (statale, regionale e locale), con poteri, tra cui la formulazione della rosa dei candidati alle posizioni apicali. Inoltre il decreto prevede che chi perde l’incarico a seguito di una revoca per mancato obiettivo, a riguardo le pagelle diventano più definite, ha un anno di tempo per procurarsi un nuovo mandato, dopo di che decade dal ruolo, cioè viene licenziato. In generale, per chi resta senza incarico la vita diventa dura: si resta in standby per un anno poi, nel giro di un triennio, la paga si riduce all’osso.

Gli ultimi ritocchi al decreto di riforma della dirigenza pubblica non hanno trovato però il gradimento dei diretti interessati, che criticano il congegno messo a punto per salvaguardare le posizioni più alte, la composizione della commissione chiamata a tenere le redini nel nuovo sistema e anche gli accenni alla responsabilità per danno erariale. Per i sindacati di categoria Unadis e Codirp è «una trappola». L’ultima versione del testo, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, accenna al rapporto tra responsabilità gestionale, propria della dirigenza, e responsabilità amministravo contabile, dietro cui sta il danno erariale. Quest’ultima sarebbe imputabile al dirigente solo nei casi che rientrano nell’effettiva gestione, insomma quando è il dirigente stesso, con le sue decisioni, ad aver sbagliato. Nella bozza si legge anche che il dirigente standard risponde pure quando l’atto in questione derivi dall’indirizzo dato dall’organo di vertice politico. Secondo Unadis e Codirp in questo modo «se si dà seguito all’atto di indirizzo politico si risponde in via esclusiva per responsabilità amministrativo-contabile, se invece non si dà seguito il dirigente sarà valutato negativamente e poi magari licenziato».

Quanto ai numeri della dirigenza, ecco la mappa, stando alla fotografia scattata dall’Aran (aggiornata al 2014): il totale assomma a 36.041, di cui 524 di prima fascia.

Così ripartiti:
nei ministeri sono in totale 3.016, di cui 244 di prima fascia

presidenza consiglio ministri: 282, 107
agenzie fiscali: 1.571, 62
enti pubblici non economici: 826, 89
enti di ricerca: 106, 22

regioni e autonomie locali 10.384
servizio sanitario nazionale 19.090
università 238
autorità indipendenti 249

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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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