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Pensioni: il governo pensa di ampliare la flessibilità in uscita

camusso_poletti-755x515In attesa degli ulteriori incontri con i sindacati (il prossimo dovrebbe essere il 12 settembre, ma non è ancora certo) il governo si appresta a limare gli ultimi dettagli sugli interventi nel ramo pensioni da inserire nella prossima legge di Bilancio, ricorrendo allo strumento delle simulazioni per la pensione anticipata. L’ipotesi più accreditata nelle ultime ore è quella di una uscita anticipata su misura. Contempla la possibilità di andare in pensione a 63 anni – e dunque fino a tre anni e sette mesi prima dei requisiti attuali – ma con una possibilità di modulazione a richiesta. Sarà dunque possibile farsi anticipare quanto si vorrà del proprio assegno pensionistico: il 100 per cento, la metà, un terzo, a seconda delle esigenze personali. Questa nuova proposta verrebbe incontro alle richieste di alcuni sindacati, che ancora vedono con sospetto lo strumento del prestito pensionistico, considerato come un mutuo da accendere in tarda età.

FLESSIBILITÀ ACCENTUATA –Si vorrebbe adesso introdurre un doppio livello di flessibilità. Il pensionando potrà cioè chiedere una sorta di preventivo all’ Inps per calcolare nelle varie ipotesi quanto sarà la rata futura da restituire e soppesare così la convenienza al prestito previdenziale. Chi ha bisogno di andare prima in pensione non per forza deve anticipare il 100% dell’assegno futuro, può anche anticiparne solo una parte, potendo contare su piccoli lavoretti da fare per integrare le entrate. Un modello elastico, questo dell’Ape versione 2.0, che consentirebbe anche allo Stato di prevedere un finanziamento più leggero del previsto.

APE – La possibilità di strutturare diversamente l’Ape sulla base delle esigenze personali è pensata proprio per evitare che la decurtazione fissa sull’assegno pensionistico possa trasformare l’intera operazione in un fallimento, come prevede finora la Cgil. Trattandosi di un prestito concesso dalle banche tramite Inps – e coperto da assicurazione – tutta l’ attenzione del lavoratore si concentrerebbe sulla rata futura che per vent’anni, dai 66 anni e sette mesi di età in poi, andrebbe a decurtare la pensione. Era questo infatti uno dei punti deboli del sistema, tale da non incentivare l’adesione all’Ape.

IL NODO UE – Il governo avrebbe anche l’intenzione di provare ad aumentare le pensioni minime, un progetto che ha però costi importanti, nell’ordine di qualche miliardo. Il tutto però dovrà passare al vaglio dell’Ue, che potrebbe ovviamente mettere dei paletti, temendo che la spesa per le detrazioni possa provocare un ulteriore aumento del debito pubblico (il debito previdenziale non è considerato a parte), già a livelli record anche con Renzi. Di contro il governo deve trovare il sistema di tarare la misura in modo da agevolare almeno il 40-50% dei richiedenti. La trattativa, difficile, con Bruxelles sta per cominciare.

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