Statali, dirigenza: i tecnici del senato contestano lo schema di riforma del ministro Madia
ROMA – Uno dei capisaldi della riforma della pubblica amministrazione – predisposta dalla ministra Marianna Madia con la benedizione di Renzi – è sicuramente la riorganizzazione del reclutamento, delle carriere e della retribuzione dei dirigenti pubblici. Che sono già in rivolta e minacciano manifestazioni eclatanti. ma non sono loro soltanto a mettere in dubbio alcuni passaggi della nuova regolamentazione, che non piace neppure ai tecnici del senato, che l’hanno appena esaminata. Si prevede, in sostanza, meno stipendio base per i dirigenti della Pubblica amministrazione e più premi legati ai risultati ottenuti. I bonus potrebbero pesare in busta paga dal 30 al 40 per cento rispetto la retribuzione complessiva. Questo il tentativo ambizioso contenuto nella riforma della dirigenza pubblica, approvata il 25 agosto in prima lettura dal Consiglio dei ministri e ora all’esame del Parlamento, di Regioni e Comuni e del Consiglio di Stato.
SENATO – Ma dopo poco più di un mese dall’approvazione del testo, i tecnici del servizio Bilancio del Senato, ufficio che si occupa di valutare i testi dal punto di vista delle coperture di spesa, sollevano i primi dubbi sulla norma voluta dal ministero di Marianna Madia, spiegando che così come pensata potrebbe rimanere solo su carta. Il punto è contenuto nell’articolo 8 del decreto, che fissa due principi per i futuri stipendi della dirigenza. Entrambi riguardano i risultati dei manager pubblici, che dovrebbero diventare una parte consistente della loro retribuzione. La regola generale è che la fetta di stipendio legata ai risultati (retribuzione accessoria) non potrà essere inferiore al 50% di quella complessiva che spetta al dirigente. Di questo 50% almeno il 30% dovrà cadere sotto la voce “premio”, mentre la restante parte dovrà contenere il resto: le indennità di posizione e la remunerazione delle responsabilità. Per quanto riguarda, invece, i dirigenti generali, quelli con i gradi più alti, la quota variabile sale al 60 per centro, mentre il premio almeno al 40 per cento. Secondo i tecnici parlamentari il meccanismo così come pensato non potrebbe funzionare, soprattutto la parte legata al premio.
CRITICITÀ – Oggi la soglia minima della retribuzione di risultato è al 10%. La riforma Madia, come detto, la fa salire al 30% e 40%. Triplicare, o addirittura quadruplicare, il premio – scrivono nel dossier i tecnici del senato- «non sembrerebbe possibile», in quanto comporterebbe un incremento degli stipendi dirigenziali e, di conseguenza, più costi per lo Stato. Per evitare l’aumento generalizzato una soluzione potrebbe essere, in sede di rinnovo del contratto, quella di modificare le parti “fisse” dello stipendio, riducendole del 20-30 per cento. In questo modo, ogni dirigente si vedrebbe diminuire lo stipendio base e aumentare, invece, la parte legata ai risultati. Più si impegna, quindi, più potrà aumentare le possibilità di non vedersi decurtare lo stipendio. Nel dossier, però, anche questa opzione viene messa in dubbio. Non è possibile infatti un rinnovo del contratto che tagli in modo drastico le quote “fisse” della retribuzione per spostarle sulla parte “premiale”, dicono i tecnici del Bilancio. È la stessa norma del decreto Madia a imporre paletti in tal senso: i futuri contratti, infatti, dovranno garantire agli attuali dirigenti il trattamento economico fondamentale maturato negli anni di servizio. Insomma, ai “capi” di lunga data il meccanismo non è poi così semplice da applicare, soprattutto in quelle amministrazioni dove il premio pesa di più, come l’Agenzie delle Entrate. Un’altra gatta da pelare per Renzi e il suo Governo, che vorrebbero concentrarsi, fino al 4 dicembre, solo sulla battaglia per il referendum costituzionale.