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Lavoro: botteghe artigiane, crolla il numero degli apprendisti (diminuito del 43%)

Dalle botteghe artigiane sono spariti gli apprendisti
Dalle botteghe artigiane sono spariti gli apprendisti

Una volta gli artigiani erano la «cantera» del mondo del lavoro. Ossia coloro che venivano allevati, come si dice per il calcio, a entrare in prima squadra. In questo caso a diventare titolari di bottega. Gli apprendisti si preparavano, e soprattutto imparavano un mestiere, per entrare poi, a tutti gli effetti nel ciclo produttivo. Ma con una qualità in più: quella di saper costruire, realizzare, creare oggetti e opere. Oggi il numero degli apprendisti è crollato. Tra il 1970 e il 2015 sono diminuiti del 43%: se in pieno boom economico superavano le 721.000 unità, l’anno scorso sono scesi a quasi 410.000 occupati.

Lo segnala l’Ufficio studi della Cgia di Mestre. In questi ultimi 45 anni, si legge nello studio, il trend è stato altalenante e, in linea generale, condizionato dalle crisi economiche (quelle sopraggiunte verso la metà degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 e ’90 e quella iniziata nel 2008) e dalle novità legislative (in particolare la riforma Treu del 1997 – che ha elevato l’età per utilizzare questa tipologia
contrattuale estendendola anche ad altri settori produttivi – e il bonus assunzioni introdotto da Renzi). Tuttavia, l’andamento
sul lungo periodo evidenzia il deciso calo di questa tipologia contrattuale. Altrettanto pesante è stata la contrazione del numero degli apprendisti occupati nel settore dell’artigianato che, a partire dalla metà degli anni ’50, ha formato professionalmente intere generazioni di giovani operai; molti di questi, è importante ricordare, sono diventati artigiani o piccoli imprenditori di successo.

Poi sono arrivati numeri e percentuali devastanti. Dall’inizio della crisi (2009) al 2015, gli apprendisti occupati nelle aziende artigiane sono diminuiti del 45%. La ripartizione geografica più colpita da questa moria, specifica la Cgia di Mestre, è stata il Mezzogiorno (-61%), seguono il Centro (-44%), il Nordovest (-43%) e il Nordest (-33%).Nell’ultima crisi che ha colpito il Paese, il calo, seppur più
contenuto, ha riguardato tutti i settori. Sempre tra il 2009 e il 2015, infatti, la contrazione media a livello nazionale è stata
del 31%.

Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, commenta: «Al di là della necessità di rilanciare la crescita e
conseguentemente anche l’occupazione, è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il
lavoro artigiano. E’ vero che attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, il nuovo Testo unico sull’apprendistato del 2011 e le novità introdotte con il Jobs act, sono stati realizzati dei passi importanti verso la giusta direzione. Ma, purtroppo, tutto ciò non basta. L’occupazione in un’azienda artigiana è spesso vissuta dai giovani come un ripiego. E’ necessario, tra le altre cose, ridare dignità,
valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare e la manualità costituiscono quel valore aggiunto invidiatoci in tutto il mondo che, purtroppo, rischiamo colpevolmente di perdere».

L’intero Paese, e in particolare Firenze, patria di Benvenuto Cellini e città che ha fatto, nei secoli, scuola agli artigiani di tutto il mondo, dovrebbero interrogarsi su che cosa si deve fare per rilanciare l’artigianato, soprattutto quello di qualità. E soprattutto come dare incentivi adatti a far tornare i giovani nelle botteghe, a lavorare e a imparare un mestiere. La lotta alla disoccupazione passa anche da qui, ossia dal rilancio di tradizioni sempre vive e che sarebbe follia far morire per sempre.



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