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Giochi e slot machine: il settore si appella a Renzi per scongiurare la perdita di 500.000 posti di lavoro

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ROMA – Tutti i settori toccati dalla manovra protestano, e in particolare in questi giorni lo fanno gli esercenti di locali dove esistono slot machine, messi sotto accusa da sindaci e famiglie. Alla vigilia dell’esame della manovra, il settore dei giochi e delle slot machine lancia un appello al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per scongiurare l’ipotizzato taglio di 130 mila macchine e 10 mila sale. Un’operazione simile, sostengono infatti gli addetti ai lavori, non solo graverebbe sull’occupazione perché metterebbe a rischio 500 mila posti, ma potrebbe anche determinare un aumento delle tasse per il mancato introito di 1,3 miliardi da parte dell’Erario, oltre a favorire un nuovo rischio illegalità nel settore dei giochi.

Fabrizio Curcio, presidente di Sapar – l’Associazione Nazionale Servizi Apparecchi per le Pubbliche Attrazioni Ricreative aderente a Confesercenti – che riunisce 1.800 imprese del settore, così commenta la bozza di proposta del governo presentata in sede di Conferenza unificata e in attesa di approvazione, previo accordo Stato, Regioni e Comuni. La richiesta al presidente del consiglio viene fatta proprio alla vigilia dell’esame della legge di bilancio (che contiene uno specifico emendamento sui giochi, «un errore», viene definito) affinché una materia così delicata non sia affrontata in modo affrettato «ma ponderata con attenzione, anche attraverso l’apertura di un tavolo di confronto», ha spiegato.

Sotto accusa proprio l’intenzione di presentare in sede di legge di bilancio un emendamento che anticipa la riduzione del 30% delle Awp, ossia le nuove slot, entro il 2017 e non più in tre anni. «Il taglio dell’entrate erariali rischia di determinare un aumento di tasse su famiglie e aziende: per questo – ha aggiunto Curcio – faccio un particolare appello a Renzi, che ha garantito di non voler aumentare le tasse, anche a tutela della stessa occupazione».

La proposta del governo, presentata dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, «comporta un impatto pesante, sotto punti di vista differenti. Intanto – ha detto Curcio – le aziende che dovranno ridurre gli apparecchi hanno già fatto investimenti e proiezioni e ora si trovano a fare i conti con i propri bilanci completamente disorientate. Infatti, arriveremo a sapere come cambierà la situazione soltanto alla vigilia di Natale, con l’ipotesi di avere un decreto attuativo soltanto a febbraio 2017. Tempi veramente molto ridotti dal punto di vista delle dinamiche aziendali».

Altra fonte di preoccupazione sono i posti di lavoro: secondo Curcio, «una riduzione massiccia e drastica nei tempi, non solo comporta di rivedere i piani industriali, ma anche quelli occupazionali. La stima complessiva della filiera arriva a 500 mila posti a rischio. Infatti, oltre a colpire 5.500 aziende di settore coinvolte dal taglio delle slot, la riforma peserà anche in termini di riduzione dei punti di gioco, che vedono 110.000 esercizi pubblici, 50mila tabaccherie, 6.000 mila sale specializzate. E i tagli peseranno anche sui lavoratori che fanno manutenzione e sul settore della ricambistica. Oggi siamo nel pieno di una crisi economica che stenta a finire, una riduzione cosi drastica può creare danni enormi».

«Confidiamo – tira le conclusioni Curcio – sul fatto che solo Renzi può scongiurare tutto questo, anche perché a essere colpita è la parte più debole di tutto il settore, quella che lavora sul campo. Inoltre, le nostre aziende sono un presidio di legalità che con la riforma del 2003 ha smantellato una rete di gioco illegale che imperava. Fare un passo indietro oggi vuol dire rischiare di lasciare il gioco pubblico in mano all’offerta illegale e alla criminalità organizzata, che è sempre lì pronta alla finestra». Per quanto riguarda il gioco problematico, è necessario trovare una «soluzione di tipo culturale e strutturale». Ed è anche vero che «esiste oggi una collisione tra norma nazionali e locali che deve essere affrontata, ma certo non in una notte. È un errore legare questo problema alla legge di manovra».

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