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Pubblica amministrazione, contratto: il Governo offre una mancia referendaria di 85 euro. Approvata la riforma della dirigenza

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Come gli 80 euro ai lavoratori dipendenti portarono al trionfo del suo Pd (40%) alle elezioni europee nel 2014, così adesso Renzi spera che analogo effetto si proietti sul referendum dopo le intese raggiunte per il rinnovo del contratto della Pubblica Amministrazione. Si perché stavolta vengono accordati 85 euro di aumento medio a tutti gli statali. Una vera e propria mancia referendaria.

CONTRATTO – Dopo una fitta serie di incontri informali, infatti il governo ha accelerato, e sembrava tutto pronto per la firma. II ministro Marianna Madia aveva espresso l’auspicio che si aprisse «una giornata produttiva e proficua per segnare un risultato importante per il nostro Paese, per la P.A., per i cittadini e i lavoratori pubblici.. Ma poi al tavolo con Cgil, Cisl, Uil, mentre l’Usb protestava sotto le finestre del ministero della Funzione Pubblica contro la propria esclusione, la trattativa si è arenata su due questioni: l’entità dell’aumento contrattuale e in generale delle risorse stanziate per la P.A. e l’estensione dell’abrogazione della legge Brunetta anche alla scuola, in modo da riportare una serie di materie importanti nell’ambito della contrattazione, a cominciare dagli accordi di secondo livello.

AUMENTO – Quanto all’aumento, tutti d’accordo sul fatto che si tratti di 85 euro, si è sempre parlato di questa cifra. Ma per Madia si tratta di un aumento medio pro capite, i sindacati invece insistono perché non si scenda al di sotto di questa cifra per nessun dipendente. Il contratto degli statali è fermo dal 2009, una ragione di più per chiudere alla svelta.

PACCHETTO – Nel frattempo il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo all’ultimo pacchetto di provvedimenti previsti dalla riforma della Pubblica Amministrazione e ha approvato cinque decreti legislativi, fra i quali quello per la dirigenza pubblica. Il nuovo meccanismo introduce l’addio graduale del posto fisso per i dirigenti, il principale motivo che finora ha reso il lavoro nel pubblico più sicuro che nel privato.

DIRIGENZA – Ci saranno tre ruoli unici per Pubblica amministrazione statale, regioni ed enti locali; i dirigenti potranno concorrere per gli incarichi di quattro anni messi a bando dalle amministrazioni, sulla base di corso-concorso o concorso . Chi rimane senza incarico perderà le parti variabili della retribuzione (possono valere fino al 60% della busta paga): dopo due anni i dirigenti in stand by saranno ricollocati d’ufficio dove c’è un posto disponibile e, in caso di rifiuto, usciranno dal ruolo. Licenziati.

DECADENZA – Se il dirigente si vede revocare l’incarico perché non ha raggiunto gli obiettivi fissati dall’amministrazione, ha un anno di tempo per trovarne uno nuovo prima di decadere. Nel tentativo di ancorare alle performance anche le buste paga, il decreto conferma l’obbligo di dedicare al trattamento accessorio almeno il 50% della retribuzione, con almeno tre euro ogni 10 misurati in base ai risultati individuali.

CONSULTA – Queste, a grandi linee, le norme fondamentali, ma sulla loro applicazione pende la spada di Damocle della pronuncia recentissima della Corte costituzionale, che ne ha dichiarato l’illegittimità. Infatti viola il dettato costituzionale la normativa riguardante anche la dirigenza nelle Regioni, che non può essere approvata scavalcando le intese Stato – Regioni nella Conferenza permanente, come prevede la norma Madia. Con la Consulta che ha dichiarato illegittima la legge madre, se il decreto in questione venisse pubblicato in Gazzetta potrebbe essere immediatamente impugnato e dunque dichiarato esso stesso incostituzionale. Ne parleremo più approfonditamente in un successivo articolo.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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