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Referendum: il nuovo centralismo renziano, molte competenze tornano dalle regioni allo Stato

Palazzo Chigi, sede del Governo italiano
Palazzo Chigi, sede del Governo italiano

Uno dei principali cambiamenti previsti dalla riforma costituzionale dovrebbe essere la revisione del rapporto stato – regioni. Che si fonda su due pilastri fondamentali.

Il primo la previsione del nuovo ruolo del Senato quale rappresentanza delle autonomie locali, il secondo è costituito dal nuovo art. 117, che prevede una separazione più netta di competenze fra le regioni e lo Stato. Vengono infatti abolite le materie di potestà legislativa concorrente, riformulate per specificare meglio l’ambito di applicazione statale e quello di applicazione regionale. Inoltre lo Stato avrà la facoltà di intervenire – previa approvazione del Parlamento – su materie di competenza regionale laddove entri in gioco l’interesse nazionale.

Il dibattito sull’effetto della nuova ripartizione vede contrapposti due fronti: da un lato, coloro che la considerano un ritorno al centralismo statale di antica memoria, ai danni dell’autonomia legislativa e finanziaria delle regioni. Dall’altro, coloro secondo i quali rappresenta una svolta importante, poiché permetterà di evitare numerosi conflitti di attribuzione fra stato e regioni e restituirà allo stato competenza esclusiva in ambiti strategici.

Leggendo i testi fondamentali, quelli citati, che disciplineranno la nuova ripartizione territoriale dei poteri si può immaginare la creazione di un regionalismo su tre livelli, il primo quello delle regioni a statuto speciale – che mantengono invariate le proprie competenze -, il secondo quello delle regioni ordinarie virtuose, alle quali potranno essere attribuiti alcuni benefici e poteri, il terzo delle intemperanti, la cui situazione è destinata ad essere sacrificata dagli interventi dello Stato.

Le cinque regioni che godono di uno statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano continueranno a mantenere le competenze derivanti dalla propria autonomia, poiché a loro il nuovo art. 117 non verrà applicato fino alla revisione dei rispettivi statuti. Significa che l’attuale Titolo V e il nuovo sistema saranno contemporaneamente vigenti, rispettivamente nelle regioni a statuto speciale e in quelle ordinarie. Secondo la riforma, infatti, ogni revisione degli statuti di autonomia andrà effettuata sulla base di intese con la regione o la provincia autonoma interessata. La clausola garantirà a questi enti un potere di veto fondamentale per la difesa della propria autonomia rispetto a istanze di modifica che non condividono. Si tratta di un’eccezione dal peso politico notevole, approvata nonostante la crescente insofferenza degli italiani nei confronti degli statuti speciali.

Le regioni ordinarie – Con la riforma, alle regioni a statuto ordinario rimarrà competenza residuale nelle materie non esclusive dello stato, quelle più rilevanti di intyeresse nazionale. La novità più rilevante, in questo caso, riguarda le forme ulteriori di autonomia che lo stato potrà garantire alle singole regioni a condizione del raggiungimento dell’equilibrio finanziario.
In realtà, la possibilità di attribuire maggiori competenze alle regioni era già presente nella nostra Costituzione (art. 116), ma la riforma sembra voler rafforzare questo strumento di autonomia differenziata tramite il cambiamento della maggioranza richiesta per la sua approvazione in parlamento (da assoluta a semplice) e l’introduzione del vincolo sui bilanci. Quest’ultimo dovrebbe permettere allo stato di delegare maggiori poteri alle regioni virtuose senza incorrere in un’esplosione della spesa locale simile a quella seguita alla riforma del 2001.

L’innovazione importante, apportata al disposto dell’articolo 116, sta infatti proprio nel terzo comma che permette particolari tipi di devoluzione di responsabilità alle Regioni virtuose e meritevoli, ossia nel caso in cui le Regioni presentino dei bilanci in regola. Testualmente l’attribuzione di ulteriore autonomia può essere effettuata purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La richiesta di attribuzione di maggiore autonomia può venire anche dalla stessa Regione, e la legge attraverso la quale si opera tale devoluzione deve essere adottata da entrambe le Camere. È logico che una legge attraverso cui si attribuiscono ad una Regione maggiori competenze comporti la necessità di intervento vincolante anche del Senato, nell’ottica di rappresentanza delle istanze territoriali.

Infine le regioni non virtuose, quelle che non presentano bilanci in ordine, vedranno ridotte le loro competenze e a loro saranno applicate le disposizioni che abbiamo illustrato all’inizio di questo articolo.

Si tratta quindi della parte più produttiva ed efficace della riforma costituzionale, insieme all’eliminazione delle province e all’abolizione del CNEL, ma resta il fatto che questi fattori positivi non ci inducono a valutare favorevolmente l’intero assetto della normativa Renzi – Boschi.


Ezzelino da Montepulico


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