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Province: la piena attuazione della riforma resta in bilico dopo la vittoria del no al referendum

Palazzo Chigi, sede del Governo italiano
Palazzo Chigi, sede del Governo italiano

ROMA – La vittoria del No al referendum sulla riforma costituzionale ripropone la questione dell’attuazione completa della cosiddetta legge Delrio, la n. 56 entrata in vigore l’8 aprile 2014. L’organizzazione e il ruolo delle ex province sono stati infatti modificati dal nuovo testo, che ha anche introdotto la nuova denominazione di enti territoriali di area vasta, in attesa dell’abolizione degli enti prevista dalla riforma costituzionale, cassata dal referendum.

Se non si farà un provvedimento straordinario per tentare di lenire i tagli insopportabili a cui sono state sottoposte, le Province sono nell”impossibilità di predisporre i bilanci per il 2017, con la conseguente interruzione dell”erogazione dei servizi essenziali ai cittadini. Non usa mezze parole il presidente dell’Upi, l’Unione delle Province italiane, Achille Variati, per spiegare al capo dello Stato Sergio Mattarella come le Province, che con la vittoria del no al referendum rimangono incardinate nella struttura costituzionale della Repubblica, sono allo stremo dopo i tagli che dal 2015, anno che è seguito alla riforma Delrio del 2014, hanno tolto loro rispettivamente 650 mln, 1 miliardo e 300 (quest’anno) e 1 miliardo e 950 milioni nel 2017. Dunque le province non solo non sono state abolite dalla riforma del 2014, ma continuano a battere cassa.

Secondo alcuni costituzionalisti però la mancata revisione della Carta, che avrebbe cancellato la parola ‘province’ dal titolo V, ora darebbe semaforo verde a ipotesi di revisione del provvedimento, anche se la Consulta si è già espressa nel merito a marzo dello scorso anno respingendo un ricorso avanzato da Lombardia, Veneto, Puglia e Campania.

Ad esempio il professor Ugo De Siervo, già presidente della Corte Costituzionale, uno degli strenui sostenitori del No, dichiara esplicitamente che «per le Province, e allo stesso modo per le Città Metropolitane, tutto rimarrà secondo l’impostazione data dalla legge 56. Anche se a questo punto qualcuno potrebbe chiedere una verifica della sua legittimità costituzionale. In termini effettivi la mancata revisione della costituzione non cambia nulla rispetto alla legislazione esistente, anche se quella legge operava delle innovazioni che sarebbero state rese definitive e radicali con modifiche della Carta. Tuttavia rimane nei fatti una situazione che qualcuno potrebbe definire deplorevole e deficitaria, e per questo potrebbe chiedere una verifica sulla legittimità costituzionale di quel provvedimento». Questo il parere, autorevole, del costituzionalista, ex presidente della Consulta. Il problema consiste nel fatto che il termine province, ancor prima dell’esito del referendum, con il varo degli enti di area vasta, è stato sostanzialmente e non formalmente eliminato.

Ovviamente diverso, e interessato, il parere del sottosegretario uscente agli Affari regionali Gianclaudio Bressa, tra i padri della legge 56, il quale sostiene l’operato del governo affermando: «la questione è semplice, quel provvedimento – in vigore ormai da due anni e mezzo – è stato approvato a Costituzione vigente, che poi non è stata modificata, quindi nulla cambia. Al comma 51 del primo articolo si ricordava con chiarezza che si era in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, ma tutto ciò – osserva – riguardava aspetti di coordinamento tra i vari enti e la necessità di operare qualche aggiustamento. Quindi, gli enti di area vasta, secondo la denominazione della legge 56, continueranno a chiamarsi province, al di là di ogni possibile questione di tipo nominalistico. Del resto le loro funzioni quelle erano e quelle rimangono».

Al di là dei dubbi interpretativi (ciascuno tira la corda dalla sua parte), resta comunque il grosso problema che ulteriori possibili ricorsi e la situazione attuale d’incertezza rimandino all’infinito la piena attuazione di una legge che ancora, dopo tre anni, attende di essere completamente realizzata. Con le conseguenze esiziali che sindacati e amministratori hanno più volte sottolineato in termini di finanze e di personale. Un altro bel capolavoro delle tanto lodate (dagli stessi interessati) riforme del governo Renzi, al quale è stato dato credito eccessivo e cieco anche all’estero (Obama e Merkel sono buoni esempi), da politici affascinati dalle chiacchiere e dall’appartenenza politica del rottamatore.


Padoin0

Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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