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Governo: la Consulta potrebbe spianare la strada a elezioni a breve termine anche senza una nuova legge

Una veduta del Palazzo della Consulta a Roma. La Corte Costituzionale ha ''esercitato un compito fondamentale'' sino ad oggi: ''quello di limitare i contrasti tra politica e magistratura disinnescando, in numerose occasioni, il rischio di una reale degenerazione''. E' quanto si sottolinea nella relazione di 20 pagine di accompagnamento al testo di riforma costituzionale della giustizia inviato oggi al Quirinale. ANSA/CLAUDIO ONORATI

E’ strettamente legato al tema del Governo l’esito della sentenza della Corte costituzionale, il 24 gennaio prossimo, sull’Italicum. A seconda della decisione della Consulta, verrà risolto o meno il tema sollevato martedì dal Presidente della Repubblica Mattarella, dell’omogeneità dei sistemi elettorali di Camera e Senato, rendendo quindi possibile urne immediate o un intervento del Parlamento per rispondere alla richiesta del Quirinale. Intanto oggi la Corte ha replicato alle critiche sulla data dell’udienza, sottolineando che era giuridicamente impossibile anticiparla.

La bocciatura della riforma al referendum ci lascia l’attuale Costituzione: la Camera e il Senato sono eletti da due corpi elettorali diversi (18 anni per essere elettore della Camera, 25 per il Senato) e con due sistemi elettorali diversi: infatti (art 57) il Senato è eletto su base regionale. Con l’introduzione dei sistemi maggioritari nel 1994 è accaduto spesso (1994, 1996, 2008, 2013) che chi ha la maggioranza in un ramo, non l’abbia nell’altro o abbia in essa un margine minimo.

Con un sistema tripolare i rischi sono ancora più elevati. Al momento, Senato e Camera hanno sì due leggi elettorali, ma sono non omogenee. Per Palazzo Madama vale il Consultellum, frutto della sentenza (1/2014) che ha bocciato il Porcellum: un proporzionale puro, con soglia su base regionale dell’8% e preferenza unica. Per la Camera, dallo scorso luglio, è in vigore l’Italicum: un proporzionale che assegna un premio di maggioranza (340 seggi, pari al 54%) a chi supera il 40% dei voti, con ballottaggio in caso di mancato raggiungimento di questa soglia. I ricorsi contro l’Italicum riguardano proprio il ballottaggio, nonché altri aspetti minori: i capilista bloccati, le multicandidature, e il divieto di apparentamento tra il primo e il secondo turno.

La Corte Costituzionale potrebbe quindi orientarsi in due modi per risolvere o meno il tema dell’omogeneità dei sistemi: potrebbe in primo luogo dichiarare illegittimo il ballottaggio, lasciando in piedi il premio per chi supera il 40% (come tra l’altro prevede il ddl del deputato Pd Giuseppe Lauricella). Nelle audizioni in Senato, il 20 e 21 novembre 2014, i presidenti emeriti della Consulta Gaetano Silvestri e Giuseppe Tesauro, sostennero che è legittimo un premio per chi supera la soglia del 37% (allora era questa l”asticella dell’Italicum). Se questa sarà la sentenza, essa sarà immediatamente applicativa, perché è il ballottaggio a rendere non omogenei i sistemi di Camera e Senato, che così sarebbero entrambi proporzionali, anche se uno ha un premio su base nazionale. I boatos in Parlamento riferiscono che questo potrebbe essere l’orientamento della Corte: sia il premier Matteo Renzi che M5s hanno parlato di sentenza auto-applicativa.

La seconda ipotesi è che la Consulta non si faccia carico del problema della omogeneità e si attenga al tema decidendum, cioè le obiezioni sul ballottaggio, giudicandolo in astratto, indipendentemente dal contesto del Senato. In tal caso esso potrebbe anche essere dichiarato legittimo, o solo integrato ad esempio con una soglia minima di partecipazione al secondo turno (il 50%). In questo scenario rimarrebbe la disomogenità dei due sistemi, non risolvibile dalla proposta di M5s di svolgere anche per il Senato 20 ballottaggi regionali, una roulette russa, secondo le parole del presidente emerito della Corte Ugo De Siervo. La disomogeneità rimarrebbe un tema politico anche se non strettamente giuridico che dovrebbe essere risolto dal Parlamento o con un intervento legislativo (es. eliminando il ballottaggio, come prevede l’accordo del Pd di novembre) oppure andando ugualmente alle urne con due modelli diversi. Si tratta di scelte che accorciano o allungano la legislatura e implicano ciascuna un modello di Governo più o meno forte.

La Corte intanto ha risposto seccamente alle critiche per il fatto che essa ha fissato la data il 24 gennaio: una data anteriore avrebbe privato le parti dei termini dei quali dispongono per legge, allo scopo di costituirsi in giudizio e presentare memorie.

In questo modo il premier Renzi, pur dimissionario, continuerebbe a voler influenzare le due istituzioni di garanzia, Presidente Mattarella, che parrebbe incline a designare per la successione colui che è stato indicato da Renzi, e la Corte costituzionale che, dopo aver dato ragione al governo, in modo equivoco, in tema di contributi di solidarietà sulle pensioni più alte, si accingerebbe ad esaudire i desiderata del rottamatore anche in tema di legge elettorale, in modo da consentire una rapida chiamata alle urne. In questo modo si vanificherebbe la protesta del popolo italiano la cui volontà sembra non contare proprio nulla di fronte al volere delle oligarchie illuminate rappresentate da Renzi e dalla sua combriccola, dal vecchio re Giorgio Napolitano, da una parte del Pd. In barba ai principi fondamentali della democrazia.


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Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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