Omelia della messa di Natale 2016 (mezzogiorno) del cardinale Betori: «Basta con la speculazione finanziaria e la corruzione ramificata»
«Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo» (Is 52,9). L’invito del profeta risuona come incoraggiamento alla speranza per noi che soffriamo le contraddizioni di una storia, quella umana, che non riesce a liberarsi dai propri limiti e dalle proprie contraddizioni. Questa consapevolezza esprime l’evangelista Giovanni, mentre denuncia un mondo che si chiude a Dio e si rifiuta di riconoscerlo e accoglierlo, allude a un potere delle tenebre che si erge contro la luce che viene a svelare il vero volto dell’uomo. Le forme con cui si esprime questa opposizione sono molte e sarebbe lunga la lista dei mali che ci tormentano e con cui affliggiamo gli altri. Mi basti riprendere, per sommi capi, «le sfide del mondo attuale», tratteggiate da Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: «un’economia dell’esclusione e dell’inequità», da cui nasce la «cultura dello scarto»; «una globalizzazione dell’indifferenza», che si avvale del potere anestetizzante della «cultura del benessere»; «la negazione del primato dell’essere umano», soppiantato dalla creazione di «nuovi idoli», il «feticismo del denaro» e la «dittatura di un’economia senza volto»; «la speculazione finanziaria» e la «corruzione ramificata»; «il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio»; «l’esclusione e l’inequità nella società e nei diversi popoli», che congiurano a rendere «impossibile sradicare la violenza»; gli «attacchi alla libertà religiosa» e la «persecuzione dei cristiani»; «una diffusa indifferenza relativista»; il prevalere nella cultura dominante di ciò che è «esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio»; nell’ambito religioso l’emergere del «fondamentalismo» e di «spiritualità senza Dio», la crisi culturale profonda che attraversa la famiglia (EvG, 52-67). L’elenco è lungo e peraltro, per ammissione dello stesso Papa, tutt’altro che esaustivo. C’è un discernimento da compiere giorno per giorno. C’è anche da reagire allo sgomento che rischia di prendere il sopravvento in noi, all’angoscia che potrebbe abbatterci a fronte di così dure prove per il futuro di ciascuno e di tutti.
NATALE – E’ al fondo di questo sconforto che ci incontra il Natale del Signore, presentandosi a noi come la risposta della fede al limite dell’uomo. Al nostro smarrimento è Dio stesso che offre un nuovo orizzonte di speranza, mostrandosi così colmo d’amore per l’umanità d’aver osato di condividerne la sorte nella persona del Figlio. «Il Verbo», che era «in principio», egli che «era Dio» – ci ha ricordato l’evangelista –, è entrato nel nostro tempo e nel nostro mondo: «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14). La fiducia che Dio mostra verso di noi dà fondamento a una speranza che ci permette di guardare oltre i nostri limiti e le nostre contraddizioni, e ci fa ritenere possibile un mondo nuovo: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16).
Se è vero, infatti, che il mondo del peccato non vuole riconoscere questa presenza di grazia e ritiene di poter fare a meno di Dio, stordito dall’illusione di un’assoluta autonomia, svincolata da ogni legame, quello con Dio come quello con gli altri, è vero anche che il Figlio a noi donato è colui che dirà ai suoi discepoli, alla vigilia della Passione: «Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). E se è vero che le tenebre si oppongono alla luce e la combattono, è però anche affermato con chiarezza che «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Questo messaggio di speranza brilla per noi dalla grotta di Betlemme e ci sorregge nelle fatiche personali, familiari e sociali, che ogni giorno rischiano di schiacciarci. Solleviamo il capo e guardiamo con coraggio al nostro futuro, perché esso è rischiarato dalla luce di Cristo, vivificato dalla sua presenza, sostenuto dalla sua grazia.
MANGIATOIA – Per cogliere tuttavia questo messaggio abbiamo bisogno di assumere lo stesso sguardo di Dio e guardare a lui e al mondo nello stesso modo con cui egli ci guarda. Egli lo fa con gli occhi di un bambino, dalla povertà di una mangiatoia, perché la potenza di Dio non si misura con il metro dei poteri umani e delle risorse a cui umanamente siamo spinti ad affidarci. La potenza di Dio si manifesta infatti nella debolezza e prende le strade dell’umiltà e della povertà. Il Figlio di Dio, che «è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente» (Eb 1,3), viene a noi nella debolezza di una carne mortale, della morte farà esperienza sopra una croce, dopo aver fatto della precarietà il cammino di tutta la sua vita tra gli uomini, chiedendoci infine di riconoscerlo nel volto dei poveri e dei derelitti della terra per essere da lui riconosciuti nel momento del giudizio, cioè della rivelazione della nostra verità (cfr. Mt 25,40).
Eppure in questo tragitto di fragilità e di povertà, che lo accompagna da Betlemme fino al Calvario, Gesù realizza il suo potere di riscatto dell’umanità, quel potere che si svelerà nella sua risurrezione e in forza del quale a quanti lo accolgono «ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). La buona notizia che il messaggero, di cui parla il profeta, ci porta è l’annuncio della salvezza (cfr Is 52,7), una salvezza per tutti, perché «tutti confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio», tale da sconvolgere i poteri che dominano il mondo, perché «il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni» (Is 52,10). L’immagine di un bimbo ci indica tenerezza, ma non dobbiamo dimenticare che con la sua presenza nella storia si apre un confronto non privo di prove: egli è il Signore, viene per fondare un Regno che si oppone ai poteri di questo mondo. Occorre schierarsi senza ambiguità.
SALVATORE – In questa congiunzione di debolezza e forza, di povertà e ricchezza, di fragilità umana e potere divino sta il mistero del Natale. Come tale esso ci indica una direzione della ricerca di Cristo e al tempo stesso la certezza di una salvezza: la strada della condivisione della povertà è la strada della nostra salvezza, perché lì si incontra il nostro Salvatore. Questa rivelazione, che è manifestazione di luce è anche svelamento del cuore stesso di Dio come mistero di misericordia. L’amore di Dio non è qualcosa che possiamo pretendere. Esso ci è dato come grazia.
Come ogni nascita, più di ogni nascita, la nascita di Gesù è un dono e come tale va accolto con gratitudine e con la disponibilità a condividerlo. Anche questo appartiene al significato del Natale. Saperci destinatari di un gesto di grazia del Padre, del dono del Figlio, e quindi disposti a celebrare la gratitudine nel farci dono per gli altri. Questo è Natale. Questo sia il nostro buon Natale.