Firenze, omelia del cardinale Betori dell’8 gennaio: «Un clochard è morto a Firenze, nonostante la presenza delle benemerite associazioni»
FIRENZE – Pubblichiamo integralmente l’ìomelia pronunciata dal cardinale Giuseppe Betori, arvivescovo di Firenze, stamani 8 gennaio, nella basilica di Santa Maria Novella:
Perché Gesù, colui che era senza peccato, si è voluto sottoporre al battesimo di conversione amministrato da Giovanni? Perché ha voluto dare avvio alla sua missione proprio con un gesto così “scandaloso”, il gesto che il Battista chiedeva ai peccatori?Sono le domande che si pose l’evangelista Matteo, che così descrive ciò che accadde: «Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo» (Mt 3,13-14a). Giovanni riconosce in Gesù qualcuno che non può essere assimilato alle folle di peccatori che lo circondano. Di qui la sua reazione: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3,14b).
Il Figlio di Dio è venuto a condividere in tutto la condizione umana, e non si ferma neanche di fronte al peccato degli uomini. Non ovviamente nel senso che egli compia il peccato, ma in quanto non teme di prendere su di sé le sue conseguenze, anzitutto la lontananza da Dio che ne è la prima conseguenza e di cui il battesimo di Giovanni esprime la presa di coscienza, per una richiesta di conversione, un nuovo orientamento della vita. Riconoscersi peccatori è il primo passo della conversione ed è quanto il Battista chiede alle folle.
Gesù, pur non essendo peccatore, vuole condividere con noi il cammino verso il Padre. Un gesto di umiliazione, che ce lo fa sentire vicino e che indica nella strada della condivisione il cammino che anche noi dobbiamo assumere per seguirlo nel suo disegno di salvezza degli uomini.
Questo volto di umile presenza, che Gesù mostra nel suo battesimo, corrisponde a quanto aveva annunciato il profeta, descrivendo il servo del Signore come colui che, nel portare la giustizia di Dio tra i popoli del mondo, «non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta» (Is 42,2-3). Non si tratta di atteggiamenti di cedevolezza e paura; al contrario, perché colui che è stato stabilito come «alleanza del popolo e luce delle nazioni» (Is 42,6), «proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra» (Is 42,4). In sostanza, la condivisione della fragilità umana fino all’umiliazione si unisce alla fermezza nel compiere una missione di giustizia e verità.
La salvezza di Dio non irrompe nella storia dall’esterno, ma si incarna nelle sue fragilità e contraddizioni e proprio in questo gesto di partecipazione rivela il volto di un Dio che mostra la propria potenza nell’amore. Non a caso proprio nell’abbassamento umile del battesimo si verifica il primo atto di rivelazione della natura divina di Gesù, con un intervento prodigioso del Padre e dello Spirito. Al momento del battesimo, infatti, «si aprirono per [Gesù] i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”» (Mt 3,16-17). E se la discesa dello Spirito può essere intesa come una visione riservata a Gesù, la voce del Padre, per l’evangelista, è un messaggio non rivolto a lui ma a chi gli sta intorno, Giovanni e le folle, i lettori del vangelo, noi. Proprio mentre si umilia, Gesù viene proclamato Figlio amato dal Padre. Questo perché il suo gesto di condivisione della povertà umana è la forma adeguata a manifestare che Dio ama l’umanità povera e peccatrice e l’ama proprio così, facendosi vicino ai poveri e ai peccatori.
È questa l’esperienza che Papa Francesco ha invitato a fare nell’Anno Giubilare appena concluso. Ma, come ci ha ricordato il Papa, «termina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata. Abbiamo imparato che Dio si china su di noi (cfr Os 11,4) perché anche noi possiamo imitarlo nel chinarci sui fratelli. […] Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro cammino è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri passi con la forza della grazia che lo Spirito infonde nel cuore per plasmarlo e renderlo capace di amare. È il tempo della misericordia per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé» (Lett. ap. Misericordia et misera, 20 novembre 2016, nn. 16 e 21). Se il volto di Dio è quello che Gesù mostra mettendosi accanto alla nostra povertà e illuminandola con l’amore che il Padre gli dona perché lo riversi su di noi, questa è anche la nostra strada: stare vicino e illuminare con l’amore la vicenda umana di chi è accanto a noi. È quanto avremmo voluto e dovuto fare verso il povero clochard, morto nel freddo della scorsa notte, in una solitudine che neppure le tante benemerite forme di attenzione verso i senzatetto presenti nella nostra città hanno saputo raggiungere, a riprova che l’attenzione verso chi è nel bisogno richiede sempre ulteriori sforzi. È la conversione che abbiamo chiesto nell’orazione di questa Santa Messa: «Concedi ai tuoi figli , rinati dall’acqua e dallo Spirito, di vivere sempre nel tuo amore [o Padre]». Il significato del battesimo di Gesù è anche il significato del nostro battesimo. Siamone degni.