Skip to main content
Il cardinale Giuseppe Betori

Firenze, giornata del migrante, l’omelia di Betori: «Piangiamo Ali Muse, ma no alle strumentalizzazioni»

Il cardinale Giuseppe Betori
Il cardinale Giuseppe Betori

FIRENZE – Riportiamo il testo completo dell’omelia del cardinale Giuseppe Betori in occasione della giornata del migrante:

La testimonianza di Giovanni su Gesù, di cui ci ha narrato la pagina del vangelo proclamata oggi, è al centro di questa celebrazione e orienta tutta la nostra riflessione e preghiera. Chi è Gesù è la domanda fondamentale della nostra fede. Gesù è l’«agnello di Dio» (Gv 1,29), ci dice Giovanni, ponendo di fronte a noi un’immagine dalle molteplici risonanze: l’agnello è anzitutto la vittima che ogni giorno veniva offerta al mattino nel Tempio, secondo la prescrizione della legge (cfr Es 29,38-46; Nm 28,3-8), un olocausto con cui si stabiliva una comunione tra l’uomo e Dio, segno del dono di sé a Dio, gesto con cui si implorava da Dio la liberazione dal peccato; ma, ancor più, l’immagine dell’agnello evoca il pasto pasquale (cfr Es 12,1-28), in cui Israele faceva memoria dell’intervento prodigioso con cui Dio aveva liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto; infine, l’espressione «agnello di Dio» rinvia alla figura del Servo del Signore, l’inviato di Dio solidale con i peccatori pur innocente da ogni peccato, che si lascia umiliare e maltrattare offrendo se stesso in sacrificio, addossandosi le iniquità del popolo, «trafitto per le nostre colpe» (Is 53,5), portando su di sé «il peccato di molti», lui che affronta il sacrificio «come agnello condotto al macello» (Is 53,7). Tutto questo si raccoglie dietro l’immagine dell’«agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29): condivisione, sacrificio, espiazione liberazione. Riconoscere in Gesù colui che mediante il sacrificio di sé ci libera dal peccato è quanto Giovanni invita a credere.
Poi Giovanni aggiunge che questo Gesù è «avanti» e «prima» di lui (Gv 1,30). C’è una superiorità di Gesù che va riconosciuta e questo perché la sua esistenza affonda le sue radici fuori dal tempo. Con lui è Dio stesso, l’eterno, che si mostra a noi e si fa nostro compagno di strada. Non c’è solo da riconoscere la funzione salvifica di Gesù, ma anche la sua natura divina. Di qui la conclusione cui giunge Giovanni e dobbiamo giungere noi: «Questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,34).
Tra l’una e l’altra affermazione di fede sta un’ulteriore rivelazione circa la missione di Gesù: egli è colui «che battezza nello Spirito Santo» (Gv 1,33), in quanto su di lui è disceso e rimane lo Spirito: Egli è stato scelto come inviato del Padre per diventare colui che comunica lo Spirito a chi crede in lui, rigenerando l’umanità mediante la vita stessa di Dio. Un dono questo che è per ogni uomo, come precisa il profeta Isaia, affermando che il Servo del Signore è stato reso «luce delle nazioni» e inviato a portare la salvezza di Dio «fino all’estremità della terra» (Is 49,6).
Questa prospettiva di universalità ci introduce al tema di questa domenica che la Chiesa dedica alla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. La presenza salvifica di Gesù, il suo farsi uno di noi, esige che «l’apertura a Dio nella fede», come scrive il Papa nel suo Messaggio, si declini «nella vicinanza amorevole ai più piccoli e ai più deboli».
L’attenzione di Papa Francesco si rivolge in modo particolare ai minorenni coinvolti nelle grandi migrazioni del nostro tempo. Osserva il Papa: «Non si tratta solo di persone in cerca di un lavoro dignitoso o di migliori condizioni di vita, ma anche di uomini e donne, anziani e bambini che sono costretti ad abbandonare le loro case con la speranza di salvarsi e di trovare altrove pace e sicurezza». E tra i migranti, Papa Francesco rileva che « i fanciulli costituiscono il gruppo più vulnerabile perché, mentre si affacciano alla vita, sono invisibili e senza voce […]. I minori migranti finiscono facilmente nei livelli più bassi del degrado umano, dove illegalità e violenza bruciano in una fiammata il futuro di troppi innocenti, mentre la rete dell’abuso dei minori è dura da spezzare».
Che cosa fare? Anzitutto, dice il Papa, occorre guardare alle migrazioni in una prospettiva di fede: A questo richiamano i testi biblici che invitano ad accogliere e garantire il forestiero: «Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nella terra d’Egitto» (Dt 10,19). «La Chiesa – continua il Papa – incoraggia a riconoscere il disegno di Dio anche in questo fenomeno, con la certezza che nessuno è straniero nella comunità cristiana, che abbraccia “ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9)».
E in concreto? Il Messaggio del Papa riassume l’azione da intraprendere, nei confronti in particolare dei migranti minorenni, in tre parole: protezione, integrazione e soluzioni durature.
Anzitutto proteggere. Osserva il Papa che «la linea di demarcazione tra migrazione e traffico [degli esseri umani] può farsi a volte molto sottile». Indigenza, scarsa alfabetizzazione, ignoranza delle leggi e della cultura possono creare servitù fisiche e psicologiche, fino allo sfruttamento e a molteplici forme di schiavitù. Occorre collaborazione tra gli stessi migranti e le comunità che li accolgono.
Va poi favorita l’integrazione, promuovendo l’inserimento sociale da una parte e programmi di rimpatrio sicuro e assistito dall’altra. Ciò implica, soprattutto verso i minori, gestione dei flussi migratori, regolarizzazione delle posizioni personali, cooperazione tra Paesi d’origine e di accoglienza.
Cercare soluzioni durature implica di andare alla radice delle migrazioni forzate, che coinvolgono anche i minori: «guerre, violazioni dei diritti umani, corruzione, povertà, squilibri e disastri ambientali». Ciò esige un’assunzione di responsabilità della comunità internazionale nell’«estinguere i conflitti e le violenze», rimuovendone la cause, e nel «prevedere programmi adeguati per la aree colpite dalle più gravi ingiustizie e instabilità».
Protezione, integrazione e soluzioni durature sono da coltivare anche nell’accoglienza sul nostro territorio. Un devastante incendio ha portato alla morte un profugo, un uomo proveniente dalla Somalia che, pur avendo visto riconosciuto il suo status giuridico di rifugiato, non aveva trovato un inserimento degno nella nostra società fino a restarne ai margini, in un alloggio di fortuna in cui ha trovato la morte. Il percorso dell’accoglienza non ha trovato per lui, come ahimè per tanti altri, quella continuità e quella ragionevole concretezza che sole avrebbero permesso il rispetto della sua dignità umana. Ne piangiamo la scomparsa, sentiamo di dover essere vicini ai familiari per il cui ricongiungimento Alì Muse ha perduto la vita, chiediamo che la società individui forme efficaci perché chi fugge da guerre e persecuzioni si veda riconosciuto un asilo, così come prevede il diritto internazionale, e abbia concrete possibilità di futuro per sé e per i suoi. Tale percorso va assicurato a tutti coloro che ne hanno diritto, con attento esame delle singole situazioni ed evitando di cadere in balia di strumentalizzazioni.
È dovere anzitutto della comunità internazionale e delle organizzazioni sovranazionali porre in atto quanto necessario al fine di assicurare la dignità della vita di ogni uomo e donna sulla terra, indipendentemente dal territorio di provenienza, dalla etnia, dalla religione e dall’appartenenza culturale. Devono essere decisioni e azioni atte a rimuovere le cause dei conflitti e quelle delle povertà endemiche e, al tempo stesso, di garantire a ciascuno percorsi concreti per accompagnarlo verso condizioni migliori di vita. Ogni stato, ogni istituzione locale, ogni espressione della società civile e le comunità religiose devono fare la propria parte, secondo ragionevoli possibilità ma con generosità. A ciascuno di noi è chiesto di non voltarsi dall’altra parte, di non chiudersi nell’egoismo. Non c’è qualcuno che ci è più prossimo: siamo noi a doverci far prossimi a tutti, come insegna la parabola evangelica (cfr. Lc 10,25-37).
A noi, come comunità cristiane, il Papa, nel Messaggio per questa Giornata, rivolge l’invito a non stancarci «nel vivere con coraggio la buona testimonianza del Vangelo», che ci chiama «riconoscere e accogliere il Signore Gesù presente nei più piccoli e vulnerabili».
E in questo contesto sento il dovere di esprimere gratitudine per il generoso servizio di organismi ecclesiali e della società civile, nonché delle istituzioni e di tanti volontari che, quotidianamente e spesso in situazioni di emergenza, si impegnano e si attivano con spirito di solidarietà per offrire aiuto e vicinanza concreta a poveri ed emarginati, non solo immigrati, nelle nostre città. Si individuino condizioni e norme perché la loro azione possa svolgersi in modo efficace e capace di dare risposte adeguate alle necessità.
Come comunità cristiana sentiamoci impegnati tutti nell’offrire alla società una testimonianza di comunione nella diversità delle etnie e culture che convivono nella medesima Chiesa e di cura dei più deboli con spirito di generosa accoglienza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Firenze Post è una testata on line edita da C.A.T. - Confesercenti Toscana S.R.L.
Registro Operatori della Comunicazione n° 39741