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Pubblico impiego: le nuove regole nel decreto legislativo all’attenzione del governo

Si procede speditamente con gli ulteriori tasselli della riforma del pubblico impiego, quella dei decreti delegati che debbono realizzare concretamente la riforma e dare il là anche al varo del contratto atteso dagli statali da oltre sette anni. Il decreto legislativo che riscrive le regole del pubblico impiego ha già ricevuto i pareri del Parlamento, manca adesso il passaggio in consiglio di ministri previsto nelle prossime settimane. Poi, la ministra prevede prima dell’estate, saranno date le direttive all’Aran per l’avvio del tavolo negoziale con i sindacati per il rinnovo del contratto.

Sindacati che sono già sul piede di guerra per i ritardi accumulati. Con una lettera congiunta, firmata da Franco Martini della Cgil, Annamaria Furlan della Cisl e Antonio Foccillo della Uil, le sigle hanno chiesto un incontro «urgente» per presentare «emendamenti» al testo di riforma del pubblico impiego prima che questo venga definitivamente approvato dal consiglio dei ministri. Per i sindacati quel testo, in diversi punti, non rispetterebbe il patto siglato dal governo il 30 novembre dello scorso anno sul rinnovo del contratto di lavoro.

Le proposte di emendamento inviate da Cgil, Cisl e Uil alla Madia sono molteplici. Si parte dal riequilibrio tra la legge ed il contratto. Con le regole della Brunetta la legge vince sempre sul contratto. L’accordo del 30 novembre, dicono i sindacati, rovescia questa impostazione: le regole del contratto prevalgono sulla legge. Ma lo schema di decreto predisposto dal governo avrebbe alcuni bug su questo fronte. In linea di principio la riforma del pubblico impiego prevede la «derogabilità» delle norme di legge da parte dei contratti, sia quelle passate, che presenti e anche future. Ma nei fatti, poi, l’articolo 40 mette alcuni paletti, stabilendo una serie di materie che invece sono riservate alla legge. A cominciare dall’organizzazione del lavoro, ma anche le sanzioni e i licenziamenti disciplinari.

Un discorso analogo vale anche per una delle norme della legge Brunetta più avversate dai sindacati: la gabbia per l’assegnazione dei premi che stabilisce il principio del 25-50-25, ossia il 50% dei premi al 25% dei più bravi, il 50% al 50% degli intermedi e niente al 25% degli ultimi. La bozza di decreto riporta invece la valutazione alla contrattazione ma, secondo i sindacati, la lega a doppio filo alla lotta dei fenomeni di assenteismo nella pubblica amministrazione. Si premia cioè di più, gli uffici dove non c’è assenteismo e meno quelli dove maggiore è il numero dei furbetti. Secondo i sindacati, invece, la logica prevista dall’accordo del 30 novembre è inversa: deve essere la contrattazione a stabilire delle forme di premialità che legate ai tassi di presenza disincentivino e contrastino eventuali fenomeni anomali di assenteismo. Si vedrà quante e quali di queste richieste potranno essere accolte nel testo definitivo.

Testo nel quale, invece, dovrebbe esserci una estensione della platea dei precari della pubblica amministrazione che potranno essere stabilizzati. Secondo le stime del ministero, la stabilizzazione dovrebbe portare definitivamente nei ranghi delle amministrazioni circa 50mila precari.


Paolo Padoin

Già Prefetto di FirenzeMail

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