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Elezioni comunali: Renzi parla di … pareggio. Il centrodestra vince e litiga. Dell’Italia che soffre a chi importa?

Ettore Rosato, capogruppo Pd alla Camera, domenica sera, appena avuto la certezza che i risultati giunti dai comuni fossero quelli, ha ammesso la sconfitta. Sia pure accampando qualche scusa. Ho pensato che i Dem cominciassero a pensare seriamente alla situazione in cui sono precipitati: cambiando politica, cercando di ascoltare di più la gente e le sue tribolazioni, e decidendo di allontanare il più possibile le elezioni politiche. Per riorganizzarsi, serrare le file e ripartire. Invece, ecco la sorpresa: secondo Matteo Renzi il centrosinistra, tra i due turni, ha vinto in 67 comuni rispetto ai 59 del centrodestra e agli 8 dei M5s. Insomma, secondo il segretario del Pd c’è stato un … pareggio. Non basta. Il segretario Pd della Toscana, Dario Parrini, è andato anche oltre: minimizzando la batosta e attribuendola a problemi locali. Magari alla scelta non felicissima dei candidati sindaci.

SCELTE – Ecco il punto: a nessuno dei capi è venuto in mente che l’Italia, messa in ginocchio da un fisco devastante e da scelte economiche che hanno fatto salire il debito pubblico a vette stratosferiche, non ne può davvero più. Le scelte di Renzi, e quelle ispirate da Renzi, non hanno rilanciato lo sviluppo. I sostegni agli imprenditori non si sono trasformati in posti di lavoro. Il Paese non ne può davvero più. Nemmeno della questione immigrazione, che i governanti italiani non sono riusciti a far comprendere, in tutta la sua drammaticità, dai burocrati di Bruxelles. Questi, in estrema sintesi, sono i motivi del malcontento che ha punito il Pd. Anche disertando le urne. Il centrodestra, almeno a livello locale, è riuscito a interpretare questo disagio, e ha rialzato la testa.

SEGRETARIO – Fuori dal quartier generale di Renzi, il dito è puntato contro il segretario. E’ al segretario e alla sua linea che imputano il risultato deludente sia la minoranza Dem sia Mdp e Si, con cui pure era alleato in alcune città. In Toscana è scontro fra il governatore, Enrico Rossi, passato all’Mdp, e il capogruppo consiliare Pd Marras. Andrea Orlando, ha incalzato Renzi chiedendogli di provare a convocare un tavolo di tutte le forze che si riconoscono nel centrosinistra, e il prodiano Franco Monaco, oggi vicino a Pisapia, ha rilanciato un centrosinistra unitario, largo e plurale, come propone l’ex sindaco di Milano. Ma a sinistra del Pd, tra i fuoriusciti di Mdp e SI, questa soluzione non piace: «L’unica strada è archiviare definitivamente le politiche errate del renzismo» ha detto Roberto Speranza, e Nicola Fratoianni, ha detto di lavorare a una discontinuità con i governi a guida Pd. Diventa difficile per Orlando proporre a Renzi alleanze con chi non le vuole. Ed ecco così che anche la maggioranza interna del Pd si dice contraria all’abbraccio con Pisapia.

CENTRODESTRA – Tutto qui? No. A sorprendere sono le divisioni emerse tra i vincitori di questa tornata, con Matteo Salvini che rivendica la propria leadership e chiede una legge elettorale maggioritaria, subito messo in riga da Silvio Berlusconi che ribadisce la propria centralità e la preferenza per una legge proporzionale. E allora, se le divisioni tra gli sconfitti sono la fisiologia, quelle tra i vincitori sono inconsuete: ma è ciò che accade nel centrodestra. Salvini ha detto di voler esportare a livello nazionale il modello Genova, cioè un centrodestra unito con la Lega primo partito, in grado di porre veti su altri alleati (ad esempio mai con Ap di Alfano). Per far ciò occorre una legge elettorale di tipo maggioritario, che implica stabilire prima del voto chi è il candidato premier. Idea che piace a Giorgia Meloni che parla di una fotografia di Genova, con un ruolo per il governatore ligure Giovanni Toti. Ma Berlusconi ha idee diverse e punta a una coalizione caratterizzata da un chiaro profilo liberale, moderato, basato su radici cristiane. E sulla legge elettorale sostiene che è meglio un sistema proporzionale che recuperi quanti si sono astenuti, evitando la necessità di decidere prima chi sarà il candidato premier. Morale? Scaramucce e tattiche. Ma non sarebbe meglio che tutti si mettessero ad ascoltare la gente e ad andare incontro alle loro esigenze? Ma forse questa è solo retorica. La politica, oggi, è solo uno scaricabarile. E un fuggi fuggi dalle responsabilità. Il cinquanta per cento degli italiani che non vota nemmeno alle elezioni amministrative, in genere le più sentite, sembra non insegnare proprio nulla.


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Sandro Bennucci

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